Passa ai contenuti principali

La sala Bingo di Matteo Renzi

I SINDACI E LA SALA BINGO DI MATTEO RENZI
In questi giorni Firenze è tornata ad essere la capitale d’Italia, l’ombelico del paese.
Da una parte il congresso dell’Anci, l’adunata di tutti i sindaci d’Italia. Dall’altra la convention di Capitan Futuro, Matteo Renzi che per tre giorni ha chiamato a raccolta, in una manifestazione- talk show tipica del suo stile, i renziani d’Italia, che aumentano ogni giorno per via del noto sport di saltare sul carro del vincitore.
A Fortezza da Basso ci sono i sindaci, provenienti da grandi città e piccoli centri. Dal palco Fassino, presidente dell’Anci, prova a trarre un bilancio e ringrazia i presidenti (Napolitano e Letta) che sono intervenuti. I sindaci, si sa, sono la parte più viva della classe politica italiana, rappresentano il vivaio di Montecitorio e di Palazzo Chigi, perché hanno a che fare con la gente e coi problemi concreti, e questa è l’unica vera scuola politica oggi rimasta. Ma poi ritrovandosi insieme finiscono col fare rivendicazioni sindacali (l’IMU, i soldi che gira loro il governo) più che progettualità. Capto al volo nei corridoi l’esternazione di un sindaco “Nell’Italia centrale di centrodestra ci sono rimasto solo io, sono una mosca bianca. Ma l’andamento è ciclico: vuol dire che alla prossima tornata gli elettori saranno delusi dal centrosinistra di governo,e  le città le prenderemo tutte noi”. Corsi e ricorsi storico-geografici. Intanto per accedere al salone bisogna attraversare decine di stand: c’è qualche regione, qualche comune che vuole farsi pubblicità. Ma i più sono aziende, banche e agenzie che vogliono vendere i loro servizi ai Comuni: per loro è un’occasione imperdibile, trovare tanti sindaci tutti insieme.
Alla stazione Leopolda il primo discorso che sento è di un “professore” renziano che spiega che è meglio il porcellum e le liste bloccate, che “le preferenze in Lombardia quando ci sono le usano al 12%, mentre in Calabria al 90%”; e giù applausi. Ergo le preferenze servono a controllare i voti, perché la Calabria è mafiosa al contrario della Lombardia. E giù applausi; verosimilmente anche dei calabresi renziani presenti, che crescono ogni giorno perché ogni giorno nuovi politici calabresi di lungo corso del Pd scoprono di avere l’anima renziana, di averla avuta da sempre anche se la scoprono soltanto adesso. Poi Matteo Renzi dà la parola agli imprenditori, nuovi maestri di vita e di politica. Uno dice che “bisogna avere grande tolleranza per la povertà”. Dice proprio così: dall’uguaglianza alla tolleranza, è l’evoluzione del maggior partito della sinistra italiana da Berlinguer a Renzi. Poi l’amministratore delegato di Luxottica dice che “la vera novità sono i tre miliardi di nuovi consumatori”. Non umani, non cittadini: consumatori. Il giorno prima invece si erano organizzati 100 tavoli su altrettanti argomenti, e intorno ad ognuno stavano 10 persone che discutevano, con l’impegno di finire la discussione con la redazione di mezza paginetta di proposta, niente di più perché se no “annoia e non la legge nessuno”. A vederla dall’alto, l’alternativa al dibattito tradizionale sembrava una sala bingo, ma tant’è. Quanto a Capitan Futuro, bello e vincente (una bambina gli alza contro un cartello prontamente ripreso da tutte le tv, c’è scritto “Sei bello come il sole”) sta seduto al palco con un tavolino,e  chiosa e dirige tutti; a fianco un altro tavolino con donne, non importa chi ma giovani donne. Dietro scorrono le immagini di Firenze, riprese da web cam. E a fianco una lavagnetta in cui appaiono le parole-chiave, come meritocrazia. Le parole d’ordine del partito democratico che sarà. Come vuole il titolo di questa kermesse, “Diamo un nome al futuro”. Ma il nome si sa già, ed è Matteo Renzi. Vincerà perché è brillante e televisivo, moderno e leggero, giovane e vuoto. È il leader che il Pds-Ds-Pd cercava da vent’anni, e finalmente lo ha trovato.
Fuori, dalle parti del convegno Anci, cinquecento migranti e antagonisti gridano che vogliono casa e lavoro, diritti e giustizia. È il paese reale, che in questo quadro d’insieme sta circondato dagli scudi della celere e dalle transenne della stradale. Ma a qualche centinaio di metri altrettante persone stanno in fila a passare la notte, in attesa di poter comprare il 5s, il nuovo modello di iPhone. Perché questo è il tempo della vittoria finale del Mercato, e in questo tempo per essere vincente la sinistra non può che essere una sinistra di mercato.
                                                                            

Commenti

Post popolari in questo blog

Chi preferisci fra Macron e Micron?

Grazie agli sviluppi dell’informatica, oggi le grandi trasmissioni televisive sono nelle mie mani. Sono io a “nominarli”, i concorrenti; a decidere chi canta meglio, chi balla meglio, chi deve andare in finale. Posso così appassionarmi a votare la formazione migliore, e persino la finale del festival di Sanremo viene decisa dal mio voto. Peccato però che nessuno si sogni di farmi decidere se voglio che nel mio paese sia riconosciuto il diritto a scegliere se essere costretto a restare in vita appeso alle macchine o possa optare per morire serenamente. Se voglio consentire a chi lo desidera di coltivarsi una piantina di marijuana sul proprio terrazzo, o se preferisco che a gestire la vendita delle droghe leggere sia la mafia. Se voglio o meno che Alitalia venga salvata coi soldi dello Stato. Se sono d’accordo che i debiti di Monte dei Paschi di Siena vengano pagati con le tasse che versiamo. No, su queste cose non mi fanno decidere niente, anche se la tecnologia consentirebbe di ef...

L'Ultimo libro di carta

  Due storie si incrociano. La prima è quella di Aurelio e Lella. La seconda narra di Giulio Brogi, un professore di filosofia che insegna in un liceo di una Milano di questi anni immersa nel cicaleccio dei telefonini, avvolta in una nebbia non più atmosferica ma rumorosa e nevrotica nelle sue solitudini. Aurelio e Lella sono due ventenni all’inizio degli anni Quaranta, in un paese di mare del Sud dell’Italia, innamorati. Lui partecipa alla seconda guerra mondiale, viene mandato in Grecia nella sventurata spedizione italiana, poi deportato. Lei è convinta che lui sia morto, e si rassegna a sposare un altro. Frattanto Giulio scopre che è malato di Alzheimer, e la sua mente progressivamente deraglia. Intanto la vicenda di Aurelio e Lella scorre, fra private illusioni e pubblici inganni attraversa il secondo dopoguerra, la nuova emigrazione italiana, le fabbriche del Nord. Mentre la storia italiana corre verso il miracolo economico, coi suoi sogni piccolo-borghesi e le sue contr...
Quella volta che Antonello, Nello, Gianni… E poi quella volta Antonello, Nello, Gianni, Massimo, Larry vennero a trovarci, fra le nostre cataste di Oscar Mondadori e i nostri fogli dattiloscritti, fra le nostre carte appallottolate e i nostri aquiloni, lì, nella sede del Laboratorio di Poesia di Cosenza. Qualcuno di  noi era preoccupato, “Quelli sono dei pericolosi anarchici – diceva Pasquale – ci spaccheranno tutto”. Ma Raffaele, il più timido di noi ma anche il più mentalmente spericolato, aveva insistito: Dai, diceva, questi qui ci porteranno una ventata di aria nuova, ne abbiamo bisogno, non possiamo stare solo a trastullarci di parole pesanti, di Montale e di Sanguineti. E così io mi arrischiai: va bene, proviamo, facciamoli venire. La loro entrata fu decisamente spettacolare. Gianni era una sorta di maschera senza travestimenti della commedia dell’arte, parlava e insieme cantava, tratteggiava e intanto danzava. Nello sembrava il leader, un po’ stratega un po’ guappo....