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Visualizzazione dei post da 2017

Bonheur a Milano

Il teatro Dal Verme è strapieno per l’inaugurazione ufficiale di Bookcity, una mega-manifestazione diluita in tanti luoghi della città, e anche nella sua provincia. C’è una lunga fila fuori dal teatro; che ondeggia sconfortata quando escono le hostess e annunciano che il teatro è al completo, e più nessuno potrà entrare. Le reazioni sono varie: c’è chi impreca col partner che non è arrivato un’ora prima a fare la fila, c’è chi si consola ordinando la pizza nel vicino ristorante. Il Presidente di Bookcity Piergaetano Marchetti prende la parola, sottolinea l’originalità della manifestazione. Che in effetti è concepita su un modello di autogestione: le associazioni culturali, le scuole, le biblioteche propongono presentazioni di libri, e si realizza un grande scambio, che coinvolge centinaia di autori e di case editrici, dalle grandi alle piccine, e si dipana dall’Università al carcere. Poi salgono sul palco i politici. Il sindaco consegna a Marc Augé il Sigillo della città. Lui, l’a

I tipi umani

Passeggiavo l’altro giorno lungo i Navigli, quando… toh! Guarda… Ma quello è Franco Araniti! Mi avvicino per salutare il poeta cosentino, ma… non era lui. Era soltanto uno che gli somigliava molto. Mi allontano, entro in piazza Gae Aulenti, ed ecco… ma che ci fa qui Franco Alimena? Mi avvicino per chiedergli quale libro sta per pubblicare il caro vecchio editore, ma quello mi dice: “Signore, non so di cosa mi sta parlando, io non la conosco!” Insomma, mi capita spesso di vedere qui persone che dovrebbero essere da tutt’altra parte. Mi dico: probabilmente i tipi umani non possono essere illimitati, allora inevitabilmente si ripetono, e un Araniti deve per forza avere un sosia qui, un altro a Napoli, uno a Torino, e perfino tre-quattro a Pechino, magari con gli occhi un po’ a mandorla. A ben pensarci, poi, non sono le fattezze fisiche a fare una persona; ma uno sguardo, una narrazione, un suo modo di stare al mondo. Gli spazi, i meridiani e i paralleli, contano fino a un certo punto

L'Ottobre

Chissà come sarebbe stato, se fosse andata diversamente. Se i Soviet ci fossero ancora, se fossero i consigli di fabbrica a gestire le imprese e non i padroni. Se fosse il Presidium del Soviet Supremo a decidere le politiche economiche del paese, e quelle internazionali. Il fatto è che, a un certo punto del processo, qualcosa non ha funzionato. Ma qualcosa di enorme, mica da poco. Secondo il pensiero marxiano la rivoluzione si doveva evolvere nella fase due: lo Stato doveva progressivamente ridursi, arretrare, fino a dissolversi. E al suo posto doveva affermarsi la comunità di liberi e di uguali, senza classi, senza organizzazioni repressive, senza leggi. La realizzazione finalmente di una società davvero umana, governata solo dalla solidarietà e dalla ragione. Ma invece è andata in tutt’altro modo. La dittatura del proletariato, che doveva guidare il viaggio verso il comunismo, è degenerata in una dittatura spietata, di pochi uomini, e talvolta di uno solo. Poi l’Unione Sovieti

Come si diventa docenti universitari

Un amico docente universitario, quando commenta azioni, comportamenti umani, tende spesso a concludere “è una questione di do ut des”. Lui lo dice con amara ironia, ma si riferisce a un modo di intendere i rapporti che è frequente nel suo mondo. Ora un intervento della magistratura ha tolto il coperchio a una maniera di concepire i concorsi e le acquisizioni di posti assai frequente nelle nostre università, anche se è chiaro che si è scoperta l’acqua calda. C’è da sperare che si vada fino in fondo, e che non ci si limiti a un singolo settore di una singola università. Ma il problema è assai complesso. Perché è sulle baronie che si regge da sempre tutto quel sistema. Non sempre e ovunque, certamente. Ma spesso e volentieri. Allora come si fa a bonificarlo?  Quei docenti considerano il potere di scelta di ricercatori e simili come una prerogativa del loro status. Nutrono un sentimento di invidia verso i politici, che hanno più potere pur essendo ben più ignoranti di loro; e scarican

A casa loro

I migranti "noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ripetiamocelo. Ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero a casa loro" : a scriverlo è Matteo Renzi. Su questa linea dei migranti che non devono assolutamente venire qui, vanno bloccati alla frontiera e devono semmai essere aiutati a casa loro, si potrebbe creare una maggioranza vastissima in Parlamento, che va da Renzi a Salvini, da Berlusconi alla Meloni, e potrebbe ottenere almeno l’astensione dei Cinquestelle, che sulla questione hanno finora tenuto posizioni alquanto contorte. In cosa consista questo aiuto a casa loro, se lanciando derrate alimentari con gli elicotteri o foraggiando i dittatori locali, è questione che evidentemente non interessa a nessuno. Frattanto sono stati resi noti i risultati di un dossier statistico di Idos, che ci informa che gli e migrati italiani sono tanti quanto nell’immediato dopoguerra: “ L’emigrazione degli italiani all’estero, dopo gli intensi movimenti

Giovanni Franzoni

Se n’è andato Giovanni Franzoni, uno di quei sacerdoti che a Roma, come Enzo Mazzi a Firenze, negli anni Settanta propugnarono un modo diverso di fare chiesa, imperniandola non su burocratiche gerarchie ma sugli ultimi, sui diseredati della Terra, come aveva insegnato qualcuno venti secoli fa e come da tempo non accadeva più. A cominciare dalla messa, che decisero di intendere in altro modo, non più come rito gerarchico ma come assemblea. E per questo furono sospesi “a divinis”, e poi ridotti allo stato laicale. Oggi il modo migliore di ricordarlo è forse quello di riflettere sulle parole che lui ha scritto sulla morte: “ Molti ancora si rappresentano la morte come un evento tremendo nelle mani di un Dio creatore e signore, giustiziere e punitore di quanti non riconoscono la sua sovranità assoluta. La morte è rappresentata come un essere estraneo, cavalcante un destriero scheletrico e agitante una falce con la quale uccide i viventi e li sottopone al Dio giudice; ma questa vision

Deny e Briciola

Tutto cominciò quando Marco se ne accorse, e si precipitò a chiamare la mamma. -          Mamma, mamma, Lucy… parla! -          - Sì, certo, caro, sono contenta. -          Ma non hai capito! Parla davvero, mamma, ha pronunciato il mio nome. -          Va bene, va bene, ora vengo a vedere. E così la signora Tina rimase senza parole. Perché non si trattava di un verso, né di un rantolo, né di uno sbrodolamento, come era abituata a fare. No, Lucy aveva proprio pronunciato la parola “Marco”. Con tanto di iniziali e di finali, di scansione delle sillabe, e persino di perfetta pronuncia della erre. Già. Ah, scusate! Per farvi rendere conto della situazione, devo precisarvi che Marco era un bambino, e Lucy era una gatta. Di lì a poco i giornali, le televisioni, i reporter on line erano tutti là. Persino il talk show di prima serata di Antenna Sedici (che si vedeva in tutta Europa, tranne ovviamente in Gran Bretagna) era lì, a fare un collegamento in diretta. In studio

La pigrizia dei parlamentari

La discussione è: il presidente della Repubblica può mandare a casa queste Camere se prima non concepiscono, discutono e infine approvano due leggi elettorali coerenti alla Camera e al Senato? Perché per questo si è formato il governo Gentiloni, per fare la legge elettorale. Se no non si potevano indire le elezioni anticipate. E se invece non scrivono la legge elettorale, che cosa ci stanno a fare? Già… roba che Mattarella potrebbe chiuderli tutti in una Camerona e non farli uscire da lì se prima non cavano una legge. Io però se fossi il presidente della Repubblica non li costringerei a stare chiusi per far questo. Ma per fare una legge che regoli il fine vita, e una che garantisca la potestà dei genitori gay. E poi per una legge che costringa tutti a pagare le tasse in maniera equa e progressiva. Poi una legge che garantisca la stessa Sanità a tutti a prescindere dalla ricchezza. Poi una che punisca sul serio la violenza e la prepotenza di genere, alle prime avvisaglie e non a deli

Ma esistono ancora i libri?

MA ESISTONO ANCORA I LIBRI? Cari lettori, non so se vi è mai capitato di leggere un libro. Se non vi è capitato, non sentitevi in colpa; e soprattutto non provate a mentire, fingendo di riportare un titolo orecchiato nel telegiornale, o magari provando a citare “Fai bei sogni”, di cui avete soltanto visto il film. Non datevi pena: nell’ultimo anno 60 italiani su 100 non hanno letto un libro; ma la percentuale sale se consideriamo le regioni del Sud. Dunque se vivete in Calabria e l’anno scorso non avete letto neanche un libro siete in  buona compagnia, siete maggioritari, perché 70 calabresi su 100 hanno fatto così. Tuttavia, se siete fra questi, disponete di una occasione stimolante: perché a questo punto si tratta di provare una esperienza del tutto nuova, che potrebbe sorprendervi. Ma io mi rivolgo anche a quella minoranza un po’ smarrita che invece i libri li legge, e non si chiede perché lo fa (a meno che a spingerli sia solo la spocchia, ma a questo punto vi consiglio di

Cani, gatti e immigrati

Anche negli ambienti più evoluti, più progressisti, le espressioni di intolleranza verso gli immigrati, che “dovrebbero stare a casa loro”, che “ci hanno invaso”, che “ci tolgono il lavoro”, sono all’ordine del giorno. È bizzarro che questo accada ad esempio fra persone che hanno sofferto e soffrono la medesima emarginazione. Ancora oggi il razzismo a nord verso i meridionali è evidente; eppure questi meridionali non si fanno scrupolo a riversare la stessa assurda insofferenza verso quelli che vengono dall’Africa. Fra questi ci sono anche molti sedicenti cattolici. Se costoro leggessero anche di sfuggita qualche pagina a caso del Vangelo scoprirebbero che la Terra è di Dio. Che è assurdo alzare muri, tracciare fili spinati. Che non abbiamo il diritto di escludere nessuno, perché siamo tutti liberi e uguali. Eppure i nostri anni, e gli anni a  venire, sono destinati ad essere caratterizzati dalla costruzione di nuovi muri. Le frontiere dell’Europa sono ormai protette da barrier

Vi consiglio un libro

Dal premio Nobel Mo Yan ci arriva “I quarantuno colpi”, pubblicato da Einaudi. È un romanzo che merita di essere letto. Questo numero chiave, 41, qui significa almeno tre cose. I quarantuno capitoli in cui si articola il libro. I quarantuno colpi di mortaio che a un certo punto il protagonista spara contro il capo villaggio. E la leggenda che viene riportata di uno che sarebbe riuscito, in un giorno, a fare l’amore con 41 donne diverse. In effetti, se non si intitolasse così, il titolo più appropriato sarebbe “la carne”, che peraltro evocherebbe una storia significativa del cinema italiano. Ma qui la carne non è rivolta tanto al significato sessuale, quanto a un erotismo morboso che il protagonista sprigiona proprio verso l’alimento. È in effetti la storia di una ossessione, che scaturisce dalla privazione che Luo Xiaotong ha subito lungo tutta la sua infanzia: del desiderio smanioso di quel tipo di cibo che peraltro, per le sue vicende, è condannato a vedere in continuazione tutt’int

Che noia queste leggi elettorali!

Se avete intenzione di diventare deputati o senatori, c’è poco da fare: dovete sforzarvi di capirci qualcosa, fra collegi uninominali, meccanismi dei resti, listini bloccati. D’altra parte un po’ di soldi dovrete investirli, quindi potete pagare qualcuno che studia tutto per voi, un po’ come andare dal commercialista. Ma per fortuna questa cosa riguarda solo qualche migliaio di persone; poi restano sessanta milioni di italiani che hanno solo l’interesse ad essere adeguatamente rappresentati. E dunque la legge elettorale conta perché possa rendere possibile quella grande voglia di partecipazione diretta che è stata espressa con quel gigantesco “no” al referendum del dicembre scorso. È qui che entrano in ballo i vari meccanismi elettorali. In questo dibattito la cosa che guida i partiti è il calcolo della convenienza: quanti seggi in più si possono guadagnare con un sistema o con un altro. Poi tanti pongono il problema della governabilità: dicono che il giorno dopo le elezioni bis

Viva la magistratura?

Due notizie, fra le tante riportate dai media in questi giorni, vorrei provare a incrociare, perché mi sembra che possono stimolare una riflessione. La prima è il ritorno alle cronache di colui che fu il presidente della Camera. Non se ne parlava da qualche tempo. Ma Fini fu, nel centrodestra, l'alternativa seria, credibile, addirittura "etica" a quel Berlusconi che veniva travolto dagli scandali cabarettistici, che annaspava fra brindisi e pasticche di viagra mentre provava a convincere impassibili interlocutori internazionali che la sua giovinetta preferita era la nipote di Mubarak. No, Fini no, lui era altra cosa: magari fascista due punto zero, ma dai solidi principi morali. Ora questa figurina annega definitivamente al largo di Montecarlo. L'altra notizia è l'apertura della selezione nazionale, da parte del Movimento Cinque Stelle, per i posti che probabilmente si liberano di ministro del governo italiano. Essendo il Cinquestelle il concorrente favorito a v

Razzi all'Unical

No, no, che avete capito?! Non sono stati sparati dei razzi sull’Università; è il senatore Razzi ad essere stato invitato all’Unical, a parlare all’interno di un seminario sul tema "Stati Uniti e Corea del Nord. Rischio di un nuovo conflitto mondiale?". Qui non mi interessa discutere se è stata cosa buona questo invito; è un’altra la riflessione che voglio sottoporvi. Questo parlamentare si esprime in un italiano creativo, una sorta di slang da cartone animato; ha la conoscenza della politica estera che può avere uno che guarda le foto dei personaggi illustri su una rivista sfogliata dal barbiere; le massime che esprime sarebbero giudicate poco riuscite anche dallo sceneggiatore dei film di Ficarra e Picone. Insomma al suo confronto molti parlamentari calabresi farebbero la figura dei filosofi del tardo Ottocento, magari un po’ oscuri ma convincenti. Allora, perché se ne parla tanto? E perché tante persone comunque andranno a  sentirlo? È questo l’effetto perverso dell

Qualsiasi cosa tu debba dirmi, dimmela in fretta!

L’evoluzione tecnica presenta degli indubbi vantaggi. È inutile essere nostalgici, è sciocco rimpiangere carta penna e calamaio. La macchina da scrivere prima, il computer poi ci hanno reso la vita più facile. E, anche se è triste pensare che i  giornali e i libri stanno per scomparire, è giusto vedere il bicchiere mezzo pieno: così può circolare molta più informazione e assai più a buon mercato, e il passaggio dalla carta al digitale può evitare la distruzione di quel che rimane di alberi e boschi. Però dobbiamo anche saper scorgere ciò che perdiamo, mentre sventoliamo il nostro pass al casello autostradale e corriamo a casa. Perché avrebbe senso correre a casa se poi fossimo capaci di gustare una conversazione con i familiari, o un bicchiere di buon vino, o magari un e-book, con calma. Ma riusciamo a fare questo? Mentre compiliamo il nostro ordine on line, certi che la merce ci arriverà a casa entro 24 ore; mentre passiamo la nostra card al superipermercato sicuri che troverem

A che serve la Rai?

Prima si poteva evadere più facilmente l’obbligo di pagare la Rai; adesso, si sa, questa tassa è stata inglobata nell’energia elettrica, per cui se non la versi ti staccano la corrente: o accetti di pagare lo stipendio a Bruno Vespa e Amadeus oppure è buio pesto. Quello che puoi fare per non pagare è dimostrare che non possiedi alcun apparecchio televisivo. La cosa è curiosa: molti di noi non guardano la Rai ma le altre emittenti che sono gratuite, però devono pagare la Rai. Si potrebbe facilmente fare come accade per Sky o per Mediaset Premium: sono tv a pagamento, se vuoi vederle sottoscrivi con loro un abbonamento. La Rai non possiede una tecnologia simile? Più che altro le fa comodo non possederla. Il fatto è che le altre televisioni cosiddette generaliste assolvono già i compiti di cui si fa carico la Rai, e anche meglio. Per fare compagnia alle signore anziane c’è Canale 5, per l’informazione c’è La7 che ha servizi giornalistici più puntuali ed equilibrati di quelli della Rai;

Chi preferisci fra Macron e Micron?

Grazie agli sviluppi dell’informatica, oggi le grandi trasmissioni televisive sono nelle mie mani. Sono io a “nominarli”, i concorrenti; a decidere chi canta meglio, chi balla meglio, chi deve andare in finale. Posso così appassionarmi a votare la formazione migliore, e persino la finale del festival di Sanremo viene decisa dal mio voto. Peccato però che nessuno si sogni di farmi decidere se voglio che nel mio paese sia riconosciuto il diritto a scegliere se essere costretto a restare in vita appeso alle macchine o possa optare per morire serenamente. Se voglio consentire a chi lo desidera di coltivarsi una piantina di marijuana sul proprio terrazzo, o se preferisco che a gestire la vendita delle droghe leggere sia la mafia. Se voglio o meno che Alitalia venga salvata coi soldi dello Stato. Se sono d’accordo che i debiti di Monte dei Paschi di Siena vengano pagati con le tasse che versiamo. No, su queste cose non mi fanno decidere niente, anche se la tecnologia consentirebbe di ef

Il lavoro che c'è

Di quei dirigenti sindacali vetusti e anacronistici ci siamo sbarazzati, sono stati rottamati quegli antipatici e sbiaditi difensori di diritti di tempi passati, che frenavano lo sviluppo della nazione; l’articolo 18, con la sua reintegrazione nel posto di lavoro per licenziamento senza giustificato motivo (chi ricorda più cosa vuol dire?) è stato buttato nel water. Oggi per i giovani (a parte quell’esigua minoranza che ha preso uno spermatozoo dall’élite politico-economica) c’è la possibilità di fare le commesse nei franchising: devi impegnarti per iscritto se sei donna a non fare figli, poi ti trovi alle porte i rilevatori delle persone che entrano nel negozio, che il capo confronterà con gli scontrini emessi, e se le persone entrate hanno deciso di non comprare niente vuol dire che tu sei un’incapace e sarai mandata via. Oppure puoi lavorare nella grande distribuzione veloce, che si impegna a far arrivare al cliente il prodotto che ha scelto entro 24 ore, e tu devi correre come

Il papa e la sinistra

Dai migranti che vengono considerati come fastidiose cavallette di cui liberarsi con l’insetticida, ai poveri che molti sindaci trattano come una impresentabile bruttura che danneggia l’immagine del centro storico; dalle donne che sono tornate proprietà privata del maschio da brutalizzare in roghi casalinghi quando si ribellano, ai disoccupati che ci fanno aumentare le tasse con la loro assurda pretesa di ottenere dallo Stato sussidi e cure mediche. In un ventunesimo secolo che in fatto di diritti sociali segna un arretramento rispetto al quale il Novecento riluce come un antico tempo felice, l’unica voce che in Italia si sta ergendo forte a difesa degli ultimi e dei diseredati della Terra è quella del papa. A sentirlo parlare, i vari Renzi e D’Alema, Franceschini e Bersani, Letta e Gentiloni lì per lì hanno gioito: se ci sta il papa a fare la sinistra, si son detti, noi possiamo farci gli affari nostri in santa pace. Il guaio per loro è che questo papa prende maledettamente su

Il progresso, Enzensberger e le scimmiette felici

Hans Magnus Enzensberger, MAUSOLEUM – Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso, Einaudi, Torino, 2017 Ma cos’è la modernità, e quando è cominciata? Cos’è quel meccanismo infernale per il quale in qualsiasi posto in cui ci rechiamo la sola cosa che conta è farci un selfie? Ovvero issarcie davanti un telefonino e noi di fronte a  fare le boccacce, le faccine sorridenti, in modo che il soggetto che agisce è una cosa costruita da chissà quale multinazionale, e noi siamo le scimmiette felici? Forse può aiutarci a capirlo un vecchio poeta tedesco, Hans Magnus Enzensberger, di cui proprio adesso Einaudi ci ripropone una raccolta magistrale: “Mausoleum – Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso”. E la storia del progresso è ricostruita dal poeta attraverso i suoi cantori, i suoi artefici, i suoi sperimentatori. Parlando di genetisti e di meccanici, di ingegneri e di biologi, ma anche di filosofi, di astronomi, di teatranti. Così solcano la scena Gutenberg e Lap

Costruire la città

Costruire la città Ci sono delle cose che non si possono fare, o che almeno non appartengono alla propria disponibilità. Non può un sindaco, ad esempio, cambiare il clima; non può risolvere, se non in piccola misura, il problema della disoccupazione, e neanche quello della povertà. C’è una cosa invece che i sindaci possono fare, e non mi sembra che, tranne qualche ammirevole eccezione, se ne preoccupino granché: è sviluppare il senso civico della loro comunità. Pensate, certo, a tanti ordinari esempi di malcostume quotidiano: dal gettare i rifiuti per strada a non raccogliere la cacca dei propri cani, dal non fermarsi alle strisce quando passa un pedone al saltare le file dal medico o al supermercato, dal bloccare la circolazione lasciando la propria auto malamente parcheggiata in doppia fila al disturbare i vicini di sedia a cinema o a teatro col proprio telefonino. Ma poi, invero, è molto di più. È quella logica per la quale ci crediamo furbi se cerchiamo l’amico o il compare per

Classifiche del 2016

Libri 11)      K. Haruf – Benedizione 22)      F. Karinthy – Epepe 33)      R. Rossi Precerutti – Domenica delle fiamme Dischi 11)      Radiohead – A moon shaped pool 22)      Brian Eno – The ship 33)      Green Day – Revolution radio Cinema 11)       P. Virzì – La pazza gioia 22)      K. Loach – I Daniel Blake 33)      A. Sissako – Timbuktù Teatro 11)      Emma Dante – Le sorelle Macaluso