Hans
Magnus Enzensberger, MAUSOLEUM – Trentasette ballate tratte dalla storia del
progresso, Einaudi, Torino, 2017
Ma cos’è la modernità, e quando è cominciata? Cos’è
quel meccanismo infernale per il quale in qualsiasi posto in cui ci rechiamo la
sola cosa che conta è farci un selfie? Ovvero issarcie davanti un telefonino e
noi di fronte a fare le boccacce, le
faccine sorridenti, in modo che il soggetto che agisce è una cosa costruita da
chissà quale multinazionale, e noi siamo le scimmiette felici?
Forse può aiutarci a capirlo un vecchio poeta
tedesco, Hans Magnus Enzensberger, di cui proprio adesso Einaudi ci ripropone
una raccolta magistrale: “Mausoleum – Trentasette ballate tratte dalla storia
del progresso”.
E la storia del progresso è ricostruita dal poeta
attraverso i suoi cantori, i suoi artefici, i suoi sperimentatori. Parlando di
genetisti e di meccanici, di ingegneri e di biologi, ma anche di filosofi, di
astronomi, di teatranti. Così solcano la scena Gutenberg e Laplace, Galileo e
Piranesi; ma anche Leibniz e Campanella, e poi ovviamente Guillotin. Letti, con
tratti rapidi e penetranti, nei loro vezzi e nelle loro ossessioni, nelle loro
frenesie e solitudini; e poi citati in passi salienti delle loro produzioni,
delle loro soluzioni geniali e sovente drammatiche. In cerca di un filo che,
evidentemente, dobbiamo ritrovare. Perché la considerazione è: se siamo
arrivati a questo punto, se non riusciamo più a raccapezzarci, possiamo provare
ad affidarci a un poeta? Che evidentemente non ci condurrà attraverso
ricostruzioni storiche né elaborazioni teoriche, ma mediante intuizioni
emozionali. Una spiaggia improbabile, ma forse l’ultima che ci rimane. Prima
che il cellulare si annoi, e decida di cambiare scimmietta.
Allora Enzensberger si incentra sulle menti che capeggiamo
la rivoluzione industriale, quella da cui tutto si generò. E rileva “la
somiglianza tra gli strumenti di tortura di un’epoca e / i suoi utensili
tecnici”. Per poi cogliere l’esplosione del delirio dello sperimentatore che
analizza e prepara la ri-creazione del mondo: “Un secolo illuminato. Eppure lo
infestano i mosconi./ L’abate è un maniaco. Copula rospi con salamandre:/
Mostruose congiunzioni. Dalla femmina squartata/ estrae le uova, / indi ammazza
i maschi, ne stilla lo sperma e fa/ procreare i morti. / Alla vista di cotanto
spettacolo s’invola la mia fantasia”. L’ebbrezza da orgia dello scienziato
troverebbe facile correlazione col medico che, a quanto ci riportano cronache
recenti, spezzerebbe il femore alle
vecchiette per sperimentare e far vendere nuove protesi meccaniche al suo
mandante.
Ed ecco una possibile chiave: “una specie che dirige
sistematicamente il proprio sviluppo attraverso una serie di interventi
funzionali sulle proprie condizioni di vita e sul proprio programma genetico.
Questo processo è detto Autoevoluzione. (Esempio: il carrozziere che scompare
come carrozziere in quanto inventa una macchina a vapore. Anche il mugnaio non
si estingue da solo)”. Dunque: “Diagrammi di flusso, elaboratori; produzione a
catena, metodologia tecnica. Un endogeno rotismo di antichissime invenzioni
azionato da una qualche forza agente dall’interno. Un mulino, ma niente più
mugnai”.
E poi via di questo passo, il progresso diventa
sempre più raffinato, le macchine sempre più ossessive, e l’evoluzione viene
vissuta come inevitabile e
indiscutibile: “Compiti: calcolare la relativa frequenza delle diverse / cause
/ di rottura dei vetri non convessi delle finestre;/ precisare quante probabilità
sussistano, che un uomo/ risusciti dalla morte (Soluzione: 1 . 1012);/
sistemare ventimila aghi gettati alla rinfusa/ in una cassa, in guisa tale, che
le loro punte tutte/ siano rivolte nella medesima direzione;/ trovare un metodo
che consenta,/ di qualsivoglia creazione della natura/ e dell’umano zelo, di
riprodurre facsimili”.
D’accordo, la meraviglia tecnologica, la
fantasmagoria dell’innovazione, ma: “Io mi domando se,/ nel corso della mia
vita, ho mai trascorso un giorno/ felice”.
Allora emerge potente la domanda : questo progresso
è ineluttabile? È l’unica strada possibile, o ce ne sarebbe potuta essere, ce
ne potrà essere, un’altra? Una che magari metta al centro l’uomo, e la sua
felicità?
Altro rimane non dicibile. Perché alla fine questi
sono soltanto dei ritratti, degli sguardi mesti e ironici, delle ballate. E
l’ambiguità del linguaggio, la non definitività dellla sua pronuncia,
l’irresolutezza della sua tensione è il dono incalcolabile che, ancora, può
darci solo la poesia.
Enzensberger è nato a Kaufbeuren, in Baviera, nel
1929. Questo libro uscì in una prima edizione a Frankfurt nel 1975.
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