Passa ai contenuti principali

L'ultimo incontro con Franco Loi

 


L’ultima volta ero stato a trovarlo un paio di mesi fa.

Non lo vedevo da tempo, ed ero ansioso di mostrargli un “ritrovamento” di cui andavo orgoglioso. Si trattava di una vecchia edizione di cui fortunosamente avevo reperito una copia. Era la pubblicazione di “Invasioni di poesia”, un festival che avevo organizzato vent’anni prima, quando facevo l’assessore alla cultura a Cosenza. Loi a quel tempo aveva già settant’anni, ma si muoveva agile e gagliardo come un giovincello. L’occasione era insolita: consisteva nel portare la poesia nei luoghi “non poetici” della città. In mezzo alle scartoffie dell’Inps. Fra gli impiegati del provveditorato agli studi. Nel dormitorio frequentato dai poveri. Nel cortile del centro di igiene mentale. Franco Loi, Gregorio Scalise, Tahar Bekri, Biancamaria Frabotta. A colorare di parole il grigio. Ad aggredire le ovvietà, a bastonare la noia. A giocare coi corpi e con le stelle.

Perché poi i recital serali invece si svolgevano al mare, sulle spiagge umidicce della Calabria di luglio.

Ero andato a trovarlo per giocare con lui, per ricordargli come con le sue poesie aveva saputo risvegliare emozioni in qualche cuore intorpidito, lui che sembrava un giovanotto. Lui che leggeva versi in quel dialetto milanese a quelle latitudini così sconosciuto, eppure tanto fluente, capriccioso, comunicativo.

E poi dirgli… e invece mi prese quel libro fra le mani, ma non lo aprì; lo carezzò. Sembrava che, sfiorandolo, il volume potesse parlargli, ed evocargli altri luoghi ed altre parole.

Mi disse che era quasi cieco, che non poteva leggere più; ma che pure qualcosa riusciva a vedere. Infatti mi fissò a lungo. Mi confidò che poteva ancora vedere la luce, quella luce che ognuno di noi emana dagli occhi. E che, scorgendola, coglieva ciò che serbava, nel suo animo, l’interlocutore.

Così il nostro incontro continuò; e fu fatto di silenzi più che di parole, di aria più che di terra. Eppure sentii che avevamo parlato più che in un dibattito; che ci eravamo carezzati, senza sfiorarci, ben più di quanto le misure anti-pandemia non avrebbero potuto consentirci.

Tornato a casa, rilessi alcune delle cose che aveva scritto Loi, e che erano pubblicate in quel volume che lui era stato a carezzare.  In un brano raccontava:

“Avevo cinque anni ed ho visto un ragazzo di diciassette anni che scriveva una lettera. La scrittura a mano mi si rivelò come una magia. Tanto più che lui mi disse: È una bacchetta magica, muovendola escono quelli che tu chiami animaletti. Ma la sostanza fu l’incanto della scrittura. Che ha avuto un enorme influsso su di me, se sin dall’infanzia ho cercato di capire, di scrivere.”

E poi mi risuonarono nella mente i versi che aveva letto, al microfono, mentre i matti gli si avvicinavano incuriositi e lui ne accarezzava uno sulla testa bianca, e poi sorrideva: “Inscì l’è disperada la belessa, / canta ne l’umbra sul l’òm senza pas. /E nun per sua buntà, nun per salvessa, / ma per pietà”.

                                               

 

Commenti

Post popolari in questo blog

Quella volta che Antonello, Nello, Gianni… E poi quella volta Antonello, Nello, Gianni, Massimo, Larry vennero a trovarci, fra le nostre cataste di Oscar Mondadori e i nostri fogli dattiloscritti, fra le nostre carte appallottolate e i nostri aquiloni, lì, nella sede del Laboratorio di Poesia di Cosenza. Qualcuno di  noi era preoccupato, “Quelli sono dei pericolosi anarchici – diceva Pasquale – ci spaccheranno tutto”. Ma Raffaele, il più timido di noi ma anche il più mentalmente spericolato, aveva insistito: Dai, diceva, questi qui ci porteranno una ventata di aria nuova, ne abbiamo bisogno, non possiamo stare solo a trastullarci di parole pesanti, di Montale e di Sanguineti. E così io mi arrischiai: va bene, proviamo, facciamoli venire. La loro entrata fu decisamente spettacolare. Gianni era una sorta di maschera senza travestimenti della commedia dell’arte, parlava e insieme cantava, tratteggiava e intanto danzava. Nello sembrava il leader, un po’ stratega un po’ guappo....

Chi preferisci fra Macron e Micron?

Grazie agli sviluppi dell’informatica, oggi le grandi trasmissioni televisive sono nelle mie mani. Sono io a “nominarli”, i concorrenti; a decidere chi canta meglio, chi balla meglio, chi deve andare in finale. Posso così appassionarmi a votare la formazione migliore, e persino la finale del festival di Sanremo viene decisa dal mio voto. Peccato però che nessuno si sogni di farmi decidere se voglio che nel mio paese sia riconosciuto il diritto a scegliere se essere costretto a restare in vita appeso alle macchine o possa optare per morire serenamente. Se voglio consentire a chi lo desidera di coltivarsi una piantina di marijuana sul proprio terrazzo, o se preferisco che a gestire la vendita delle droghe leggere sia la mafia. Se voglio o meno che Alitalia venga salvata coi soldi dello Stato. Se sono d’accordo che i debiti di Monte dei Paschi di Siena vengano pagati con le tasse che versiamo. No, su queste cose non mi fanno decidere niente, anche se la tecnologia consentirebbe di ef...

Il papa e la sinistra

Dai migranti che vengono considerati come fastidiose cavallette di cui liberarsi con l’insetticida, ai poveri che molti sindaci trattano come una impresentabile bruttura che danneggia l’immagine del centro storico; dalle donne che sono tornate proprietà privata del maschio da brutalizzare in roghi casalinghi quando si ribellano, ai disoccupati che ci fanno aumentare le tasse con la loro assurda pretesa di ottenere dallo Stato sussidi e cure mediche. In un ventunesimo secolo che in fatto di diritti sociali segna un arretramento rispetto al quale il Novecento riluce come un antico tempo felice, l’unica voce che in Italia si sta ergendo forte a difesa degli ultimi e dei diseredati della Terra è quella del papa. A sentirlo parlare, i vari Renzi e D’Alema, Franceschini e Bersani, Letta e Gentiloni lì per lì hanno gioito: se ci sta il papa a fare la sinistra, si son detti, noi possiamo farci gli affari nostri in santa pace. Il guaio per loro è che questo papa prende maledettamente su...