Passa ai contenuti principali



POESIA CIVILE E POESIA INCIVILE

Da alcuni anni emerge in Italia un filone che sembrava definitivamente abbandonato, e anzi del tutto impraticabile: quello della poesia civile. Già nell’ultimo Raboni la volontà di testimonianza civile si faceva più impellente, pur nell’equilibrio di discrezione che egli non ha mai tradito nella parabola della sua scrittura. Ma ci sono casi più clamorosi, e persino sorprendenti: sia perché provengono da poeti in cui l’ardore civile era pressoché insospettabile, sia perché una serie di eventi, letterari e metaletterari (le avanguardie panlinguistiche del secondo Novecento, il crollo del marxismo, la caduta del muro di Berlino e la “fine della storia”), li facevano apparire a prima vista del tutto anacronistici.

Questo tentativo, questo intendimento, è di per sé meritevole di ammirazione. Perché esprime una urgenza morale, un impulso interiore, come avrebbe detto Quasimodo, a “scendere dalle torri di avorio”, e sporcarsi le mani con umori e con parole di origine non controllata e formalmente molto rischiose. E perché può contribuire a riscattare la poesia da quel ruolo marginale, e un po’ museificato, in cui è confinata nel post-moderno, nella società post-industriale in cui le “menti migliori della mia generazione” fanno i pubblicitari. Rinvigorendone la portata, rinverdendone la funzione. Ma il problema è: come districarsi fra i Mc Donald’s e i negozi di telefonini? Come mantenere un tono alto ed essere insieme credibili e dignitosi, non patetici? Come soverchiare con i propri versi il muro continuo di parole con cui gli sms che vengono continuamente lanciati e ritrasmessi tengono imprigionato il mondo?

Per provarci, non è ormai tardi? O forse ancora presto?

C’è poco da fare, l’estremo poeta civile in Italia è stato Pierpaolo Pasolini; che aveva intuito e profetizzato la fine della storia, ossia la vittoria finale del consumismo edonista. Ma ora? Considerando che alcune parole (Berlusconi, spread, tablet) sono impronunciabili in poesia, come fare?

Probabilmente i poeti civili possono esistere solo nelle culture giovani, o in quelle appena ri-nate (la poesia italiana risorgimentale e dei primi decenni dello Stato unitario, quella dei paesi africani che si affacciano al nostro mondo). Ciò non toglie che provarci, comunque, meriti intanto l’”onore delle armi”. E la stima, quando si riesca ad evitare le numerose trappole che si incontrano lungo questo percorso.

Quando penso a queste cose, tuttavia, mi torna sempre in mente una obiezione che mi fecero negli anni Settanta, in una appassionata assemblea studentesca – non era rivolta a me, ma io così la avvertii. Lo studente disse al megafono che i poeti dei laboratori erano una specie di suini, mentre la poesia autentica si scriveva nelle carceri e in altri luoghi di oppressione. Al di là della retorica ideologica di questa categorizzazione, io da allora mi chiedo: esiste una poesia in-civile? Esiste una poesia che nella sua stessa condizione, nell’estremo e puro essere di chi la compone, trova la sua significazione e la sua giustificazione piena?

Proviamo a ipotizzare. Potrebbe essere incivile la poesia dei detenuti, che già a priori sono stati espulsi dalla società civile, dalla tribù. E poi quella dei “diversamente abili” (un amico in carrozzella ama dire: “Finitela con questa ipocrisia di chiamarmi diversamente abile. Mi spiegate a cosa sono abile io?”). E poi quella di tutti coloro che nello standard sempre più rigoroso e omogeneizzante della civiltà contemporanea, non possono rientrare in quanto ancora troppo “selvaggi” (gli immigrati?). Poi ancora evidentemente i pazzi e i bambini. Viene subito in mente Alda Merini. E Lorenzo Calogero, coi suoi “Quaderni di Villa Nuccia”. E Raffaele De Luca, che quando fu ricoverato in una clinica psichiatrica si procurò un quaderno, e nel giardino dell’ora d’aria si avvicinava agli altri ricoverati e li spingeva a scrivere poesie.

A ben vedere, la distanza fra questi due universi, oggi, non è così netta. Paradossalmente potremmo ipotizzare uno slogan “civili e incivili uniti nella lotta”, in un orizzonte in cui si intraveda nella poesia una possibilità di salvezza; o anche la percezione che la poesia per salvare se stessa è costretta a salvare il mondo.


Commenti

Paolo Tack ha detto…
Quello che dici é sempre interessante, ho bazzicato con gusto nelle cose tue che ho trovato in internet, dopo aver letto una tua frase sulla letteratura..."Il senso della letteratura è la sua capacità di materializzare le sfere dell’impalpabile." spero un giorno di incontrarti e magari di averti per alcuni incontri che sto organizzando sull'arte a rischio estinzione della lettura
paolo
ps
www.isoleleggere.blogspot.com
ehi
Paolo Tack ha detto…
ma dimenticavo di dire quello cui tenevo. conosco buona poesia e pessima. Persone civilmente impegnate e persone che lasciano una bava d'ignavia su tutto ció su cui strisciano. Ma relazionare le cose mi pare pernicioso. Tranne che chi é poeta difende la bellezza strenuamente, e la civiltá, la giustizia sono forme di bellezza, in questo senso passione politica e poetica possono fondersi senza creare bestiari

Post popolari in questo blog

Quella volta che Antonello, Nello, Gianni… E poi quella volta Antonello, Nello, Gianni, Massimo, Larry vennero a trovarci, fra le nostre cataste di Oscar Mondadori e i nostri fogli dattiloscritti, fra le nostre carte appallottolate e i nostri aquiloni, lì, nella sede del Laboratorio di Poesia di Cosenza. Qualcuno di  noi era preoccupato, “Quelli sono dei pericolosi anarchici – diceva Pasquale – ci spaccheranno tutto”. Ma Raffaele, il più timido di noi ma anche il più mentalmente spericolato, aveva insistito: Dai, diceva, questi qui ci porteranno una ventata di aria nuova, ne abbiamo bisogno, non possiamo stare solo a trastullarci di parole pesanti, di Montale e di Sanguineti. E così io mi arrischiai: va bene, proviamo, facciamoli venire. La loro entrata fu decisamente spettacolare. Gianni era una sorta di maschera senza travestimenti della commedia dell’arte, parlava e insieme cantava, tratteggiava e intanto danzava. Nello sembrava il leader, un po’ stratega un po’ guappo....

Chi preferisci fra Macron e Micron?

Grazie agli sviluppi dell’informatica, oggi le grandi trasmissioni televisive sono nelle mie mani. Sono io a “nominarli”, i concorrenti; a decidere chi canta meglio, chi balla meglio, chi deve andare in finale. Posso così appassionarmi a votare la formazione migliore, e persino la finale del festival di Sanremo viene decisa dal mio voto. Peccato però che nessuno si sogni di farmi decidere se voglio che nel mio paese sia riconosciuto il diritto a scegliere se essere costretto a restare in vita appeso alle macchine o possa optare per morire serenamente. Se voglio consentire a chi lo desidera di coltivarsi una piantina di marijuana sul proprio terrazzo, o se preferisco che a gestire la vendita delle droghe leggere sia la mafia. Se voglio o meno che Alitalia venga salvata coi soldi dello Stato. Se sono d’accordo che i debiti di Monte dei Paschi di Siena vengano pagati con le tasse che versiamo. No, su queste cose non mi fanno decidere niente, anche se la tecnologia consentirebbe di ef...

Il papa e la sinistra

Dai migranti che vengono considerati come fastidiose cavallette di cui liberarsi con l’insetticida, ai poveri che molti sindaci trattano come una impresentabile bruttura che danneggia l’immagine del centro storico; dalle donne che sono tornate proprietà privata del maschio da brutalizzare in roghi casalinghi quando si ribellano, ai disoccupati che ci fanno aumentare le tasse con la loro assurda pretesa di ottenere dallo Stato sussidi e cure mediche. In un ventunesimo secolo che in fatto di diritti sociali segna un arretramento rispetto al quale il Novecento riluce come un antico tempo felice, l’unica voce che in Italia si sta ergendo forte a difesa degli ultimi e dei diseredati della Terra è quella del papa. A sentirlo parlare, i vari Renzi e D’Alema, Franceschini e Bersani, Letta e Gentiloni lì per lì hanno gioito: se ci sta il papa a fare la sinistra, si son detti, noi possiamo farci gli affari nostri in santa pace. Il guaio per loro è che questo papa prende maledettamente su...