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Bonheur a Milano

Il teatro Dal Verme è strapieno per l’inaugurazione ufficiale di Bookcity, una mega-manifestazione diluita in tanti luoghi della città, e anche nella sua provincia. C’è una lunga fila fuori dal teatro; che ondeggia sconfortata quando escono le hostess e annunciano che il teatro è al completo, e più nessuno potrà entrare. Le reazioni sono varie: c’è chi impreca col partner che non è arrivato un’ora prima a fare la fila, c’è chi si consola ordinando la pizza nel vicino ristorante.
Il Presidente di Bookcity Piergaetano Marchetti prende la parola, sottolinea l’originalità della manifestazione. Che in effetti è concepita su un modello di autogestione: le associazioni culturali, le scuole, le biblioteche propongono presentazioni di libri, e si realizza un grande scambio, che coinvolge centinaia di autori e di case editrici, dalle grandi alle piccine, e si dipana dall’Università al carcere.
Poi salgono sul palco i politici. Il sindaco consegna a Marc Augé il Sigillo della città. Lui, l’anziano antropologo, sorride compiaciuto quando Sala afferma che Milano ha realizzato un modello di città nuovo, in cui non c’è più distinzione tra centro e periferie. Augé ringrazia e ritira il premio, non ne approfitta per ricordare la sua celebre teoria dei non-luoghi. Eppure recandomi in centro dalla periferia mi è capitato di sentire una signora che protestava con l’autista dell’autobus perché era partito subito senza darle il tempo di salire comodamente, e gli ha urlato: “Vuole che mi appenda un cartellino col timbro in cui ci sia scritto che sono disabile? Con le signore del centro non fate così: per loro stendete i tappeti rossi!”
Quindi viene invitato sul palco Franceschini. Il ministro della cultura ovviamente vanta il suo operato, dice che grazie a lui la cultura è tornata centrale nell’agenda del governo. Precisa che è mancata una legge a sostegno della lettura e dell’editoria, che per questa non c’è più tempo, ma si farà sicuramente nella prossima legislatura. Possibile che quattro anni non gli siano bastati?
Finalmente è il turno di Augé, l’atteso protagonista della serata, intervistato da Daria Bignardi. Il celebre studioso francese è venuto a presentare “Momenti di felicità”, il suo ultimo libro, edito in Italia da Cortina.
Parla delle piccole circostanze che ci fanno provare un senso di felicità, che sono possibili nonostante tutto.
Qui la questione è che gli ideologi sovente, imbevuti del farmaco che essi stessi producevano, non si sono accorti che la vita rimaneva più varia e più complessa del grande, totalizzante problema che loro erano riusciti a scorgere e a denunciare. E che insomma anche Marx e Marcuse e gli altri avrebbero dovuto saper cogliere una possibilità di felicità che prescindeva dal male che essi meritoriamente denunciavano. Avrebbero dovuto “vedere anche zingari felici”, come cantava Claudio Lolli alcuni anni fa.
Ora prova a farlo Augé, e questo va bene. Il problema è che poi indica come gioie ascoltare “O sole mio” cantata in piazza San Carlo a Torino, o ripensare le canzoni che intonavano il padre o il nonno. O ancora godere dei bonheurs du jour della terza età, della pensione. Ma a questo punto non bisognerebbe almeno dedicare due parole ai tanti che la pensione non la vedranno mai; agli esodati che dovranno contentarsi, chissà quando, di pochi spiccioli; ai tanti vecchi scaricati nelle case di cura, praticamente rimossi dalla vista?
Questo però Augé non lo fa, non è chiaro se perché la Bignardi non lo sollecita opportunamente o per una sua sopravvenuta rilassatezza.
Così la serata finisce con Campari che offre l’aperitivo a tutti: se di “non-luoghi” non si parla più è il trionfo di un’altra definizione di qualche decennio fa, la “Milano da bere”.
                                                           



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