Passeggiavo
l’altro giorno lungo i Navigli, quando… toh! Guarda… Ma quello è Franco
Araniti! Mi avvicino per salutare il poeta cosentino, ma… non era lui. Era
soltanto uno che gli somigliava molto. Mi allontano, entro in piazza Gae
Aulenti, ed ecco… ma che ci fa qui Franco Alimena? Mi avvicino per chiedergli
quale libro sta per pubblicare il caro vecchio editore, ma quello mi dice: “Signore,
non so di cosa mi sta parlando, io non la conosco!”
Insomma, mi
capita spesso di vedere qui persone che dovrebbero essere da tutt’altra parte.
Mi dico: probabilmente i tipi umani non possono essere illimitati, allora
inevitabilmente si ripetono, e un Araniti deve per forza avere un sosia qui, un
altro a Napoli, uno a Torino, e perfino tre-quattro a Pechino, magari con gli
occhi un po’ a mandorla.
A ben
pensarci, poi, non sono le fattezze fisiche a fare una persona; ma uno sguardo,
una narrazione, un suo modo di stare al mondo. Gli spazi, i meridiani e i
paralleli, contano fino a un certo punto.
Domenica
scorsa sono stato a Firenze, e sono tornato all’Isolotto, dove tanti anni fa una
parrocchia si ribellò al potere della Chiesa, alla lettura dogmatica del
Vangelo; e propugnò una messa che invece fosse un’assemblea, in cui tutti
potessero parlare, ma dei loro problemi, non di precetti ammuffiti. E il
Vangelo tornasse ad essere questione di occhi e di mani e di carne. E lo
spezzare il pane non fosse più un rito ma una condivisione. Certo, era il
Sessantotto. E sulla spinta di preti cacciati dalla Chiesa come Enzo Mazzi si
ritrovarono 10.000 persone, a concelebrare una messa in piazza, fuori
dall’istituzione. Ebbene, quasi non ci speravo più. E invece li ritrovo, quei
“compagni”, cattolici del dissenso, che avevo conosciuto negli anni Settanta.
Sono cinquanta, sono diventati vecchietti, non hanno più le luci dei riflettori
addosso. Ma ancora tutte le domeniche si riuniscono nello stesso posto, a
condividere il pane, a discutere nella loro messa-assemblea. Le forme, certo,
possono cambiare. Ma se si cerca un filo di senso, una coerenza fatta di
emozioni e di scelte esistenziali prima che di parole, quello può rimanere
tutta una vita. Al di là delle latitudini.
Allora da
qui lontano rivolgo un saluto a Franco Bifarella, il compagno punto di
riferimento, pur nella differenza delle scelte e delle posizioni, per il filo
di senso che ha sempre seguito e non ha mai abbandonato. Lui vive qui come lì
come in mille altri posti. Anche se, apprendo, da un po’ di tempo è salito al
monte e si è congedato.
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