Passa ai contenuti principali

Deny e Briciola


Tutto cominciò quando Marco se ne accorse, e si precipitò a chiamare la mamma.
-         Mamma, mamma, Lucy… parla!
-         - Sì, certo, caro, sono contenta.
-         Ma non hai capito! Parla davvero, mamma, ha pronunciato il mio nome.
-         Va bene, va bene, ora vengo a vedere.
E così la signora Tina rimase senza parole. Perché non si trattava di un verso, né di un rantolo, né di uno sbrodolamento, come era abituata a fare. No, Lucy aveva proprio pronunciato la parola “Marco”. Con tanto di iniziali e di finali, di scansione delle sillabe, e persino di perfetta pronuncia della erre.
Già.
Ah, scusate! Per farvi rendere conto della situazione, devo precisarvi che Marco era un bambino, e Lucy era una gatta.


Di lì a poco i giornali, le televisioni, i reporter on line erano tutti là. Persino il talk show di prima serata di Antenna Sedici (che si vedeva in tutta Europa, tranne ovviamente in Gran Bretagna) era lì, a fare un collegamento in diretta. In studio già si parlava e ci si interrogava su cosa stesse succedendo. E se questo fantastico avvenimento dipendesse dal buco dell’ozono, o dai fertilizzanti chimici. O forse da quello strano raggio che aveva colpito la crosta terrestre, e che non si sapeva da dove ma di sicuro proveniva dallo spazio. Perché intanto Lucy non aveva smesso; e non solo diceva Marco, ma ora anche Tina, mamma, papà, acqua e cuccia. Diceva anche crocca – ntini, sebbene appunto diviso in due parti. Sì, certo, non andava oltre la pronuncia di parole bisillabe; ma chi poteva assicurare che quello non fosse solo l’inizio?
La signora Tina e il signor Pasquale (che, va beh, erano separati, lui da due anni viveva per conto suo, ma non si era lasciato sfuggire l’occasione ed era tornato prontamente a fare il papà, chissà che tutta quella pubblicità non potesse servirgli a trovare una compagnia che mettesse in scena quel suo atto unico sui Nibelunghi, che da anni teneva nel cassetto) erano diventati delle star. Tutti a intervistarli, a chiedere loro come vivevano quell’avvenimento straordinario. Che cibo davano alla gatta, quali programmi televisivi le avevano fatto seguire. Chi l’aveva ammaestrata, e come. E se loro vedessero nella gatta quel secondo figlio che non avevano mai avuto.
Qualcuno aveva provato a intervistare anche Marco, ma l’ispettorato a tutela dell’innocenza dei bambini era prontamente intervenuto, e lo aveva vietato. La famiglia della gatta aveva conquistato le copertine di tutti i settimanali.


Non fu un fenomeno isolato.
Ben presto diverse gatte cominciarono a parlare. E anche i gatti.
Nemmeno l’accadimento fu limitato all’Italia. Come un contagio fatale – e meraviglioso – gatti parlanti si manifestarono in Portogallo, in Svezia. Poi in Venezuela, in Nuova Guinea. Poi in Australia. Ma anche in Lituania e in Lettonia, in Congo e in Egitto.
Non poteva più parlarsi di miracolo. Ma di evoluzione. Di una seconda specie animale che, dopo millenni di staticità, aveva deciso di intraprendere un cammino che dalla animalità brutale conduceva, forse, ad uno stadio completamente diverso.


Poi, tutto accadde un po’ all’improvviso. Duecento anni dopo i fatti che abbiamo appena narrato.
Cominciò un gatto delle Filippine. Che, come fosse stufo del solito andazzo, iniziò a inarcarsi sulle zampe. Ma non per qualche istante, né per fare il clown come era sempre successo ai suoi progenitori. No, ci prendeva proprio gusto, a stare sulle due zampe. Sì che si trovò le zampe anteriori libere da oneri di sostegno e di cammino, e pronte così ad essere utilizzate per altro. Per gesticolare, per maneggiare gli utensili. Per dirigere cori felini, band mielose, vere e proprie orchestre. E, diciamolo, anche per impugnare pistole, e per sparare.
Come a un segnale convenuto, la stessa cosa presero a fare i gatti della Nuova Zelanda e del Pakistan, delle Andorre e del Belgio. Certo, all’inizio erano maldestri, e qualche esemplare persino un po’ cascante e fracassone. Ma poi, man mano, sempre più sicuri, sempre più agili sulle zampe, sempre più fluidi ed eleganti.
Era la conquista della posizione eretta.


Ma un’altra sorpresa doveva ancora arrivare.
Quell’altro scoop lo conquistò TeleElvetica. Che peraltro, con un abbonamento mensile di poche decine di  euro, si poteva ricevere direttamente a casa propria, sulla propria scrivania, in due terzi del mondo abitato.
Deny e Briciola si erano conosciuti a Varsavia. I loro rispettivi proprietari erano dirimpettai. E ben presto fra loro era scoppiato l’amore. Sì, proprio di amore deve parlarsi. Perché non si limitavano a parlarsi, e a frequentarsi, nei giorni sì, quelli in cui Briciola entrava in calore. No, si desideravano, si volevano anche negli altri giorni. E soprattutto si pensavano. Si desideravano anche quando non si vedevano. Erano capaci di stare giorni interi, uno nella sua cuccia, l’altra sul suo davanzale, a rivivere trasognati le ore passate insieme, a immaginarsi. E si pensavano così tanto, si desideravano così tanto, che… accoppiarsi per loro non era più così importante. Non era più prioritario. No, loro volevano… entrare l’uno nella mente dell’altra. Volevano superare la loro dualità, risolversi l’uno nell’altra, diventare una cosa sola. Ecco, dobbiamo dirlo: il loro reciproco pensiero andava al di là della materialità delle cose, era divenuto trascendente.
Era un pensiero totalitario, una vocazione imprescindibile e assoluta.
Così, peraltro, si manifestò quando i coniugi Krakowski, per imprescindibili esigenze di lavoro, lasciarono Varsavia. E con loro Briciola. Che non  poté che seguirli nel loro trasferimento a Londra.
Le riviste per signore dedicarono pagine e pagine, corroborate da foto commuoventi, a narrare quel viaggio inarrestabile, quel romantico pellegrinaggio, che Deny intraprese imbarcandosi da clandestino in un battello. E poi in un altro. E ancora in un terzo. Apprendendo forzatamente una geografia di cui egli non sapeva nulla. Ma di cui aveva disperatamente bisogno. Perché doveva trovare quella città dal nome ferale, e quella famiglia che era emigrata per lavoro, che si era allontanata con lei.
Infine, laggiù, sotto il Big Ben. Impensabilmente. Miracolosamente. Un ritrovarsi conquistato con le unghie. Strappato coi denti. Un ritrovarsi che strappava le lacrime, che riempiva il cuore.
Deny e Briciola erano di nuovo insieme. Il loro era un amore pieno, e permanente.



Il Consiglio di Sicurezza si riunì in gran segreto. Tutti i canali di comunicazione furono oscurati, tutte le porte restarono blindate.
A prendere la parola per primo fu il rappresentante dell’Europa. Disse che non c’era tempo da perdere, che la misura era colma e bisognava subito prendere provvedimenti rapidi e radicali. Che non c’era da scherzare, che la supremazia del genere umano era in pericolo. Che se non si fosse agito finché si era in tempo, i loro figli avrebbero perso per sempre il controllo del pianeta.
Parlò poi il rappresentante di Old America. L’uomo di New York sosteneva che bisognava far trionfare il pacifismo, che si dovevano cogliere i lati positivi della faccenda. Che ci si sarebbe potuti mettere d’accordo: i gatti, ora così evoluti, avrebbero potuto svolgere tutte le mansioni più noiose e faticose; e la razza umana ne avrebbe tratto solo vantaggi, avrebbe potuto finalmente riposare e vivere sugli allori. Ma, si sa, quelli di Old America erano ormai soltanto dei poveri e folklorici ubriaconi, che campavano di ricordi. Prese allora la parola la rappresentante dei Nuovi Americani, che rappresentava le Antille,  Cuba, i giovani Stati emergenti.  Disse che bisognava fare presto, agire; ma il metodo doveva essere rapido e indolore, per non incorrere nelle ire degli ecologisti, per non fare troppi danni. Così si passò a discutere di come fare, per fermarli. La soluzione di Panrussia era drastica, si trattava di usare i gas. Era stato approntato un gas dagli effetti selettivi, che risparmiava gli umani, ma uccideva i gatti. Certo, il metodo era tutt’altro che sicuro. E probabilmente un po’ di umani ne avrebbero risentito: molti avrebbero preso il cancro, e diversi ci avrebbero rimesso la pelle. In particolare, pare, quelli con gli occhi di gatto. Ma era un sacrificio accettabile, un prezzo da pagare che poteva essere considerato ragionevole. In compenso i gatti sarebbero stati sterminati, non se ne sarebbe salvato nemmeno uno.
La discussione che si aprì subito dopo fu infuocata. Molte obiezioni si sollevarono, per i processi che si sarebbero comunque aperti, per i soldi che si sarebbero dovuti pagare per risarcire le famiglie delle vittime. Troppi soldi. E poi c’era il rischio che il Tribunale Speciale avrebbe potuto condannare quello sterminio di una intera razza, la sua sparizione totale e definitiva dal pianeta. Paradossalmente, avrebbe potuto giudicarlo un delitto contro l’umanità. Era un rischio troppo grande.
Comunque di lì a poco parlò la Cina, e le sue parole naturamente furono assunte da tutti come decisive. Si optò per una iniezione rincretinente. Che avrebbe bloccato quella improvvisa e perigliosa evoluzione, avrebbe rapidamente ridotto allo stato di ebeti tutti i gatti sottoposti al trattamento. Le squadre speciali sarebbero partite subito, avrebbero agito in ogni angolo del pianeta. Li avrebbero riportati allo stato animalesco; la sorte dei gatti evoluti era segnata.
I gatti, sottoposti alla puntura forzata, si agitavano, si contorcevano: cercavano qualcosa che… non sapevano, come una memoria antica di una condizione che avevano già perduto, che non era più. Perdevano la posizione eretta, ritornavano a quattro zampe. Molti ne morivano, tanti si suicidavano lanciandosi dagli abbaini, dai terrazzi; altri si agitavano smarriti, abbandonandosi a un miagolio sordido e sconsolato.


Ma ormai avevano imparato ad andare per mare. Così Deny e Briciola riuscirono ad imbarcarsi, alla chetichella. Finché, ecco, trovarono un atollo. Tranquillo, appartato, accogliente. Nel quale vivere il loro amore finalmente al riparo da tutto e da tutti. Anche dalle iniezioni imbambolanti. E poi, non era più una questione soltanto loro. Perché intanto il loro amore aveva prodotto una nidiata di gattini. Sei magnifici cucciolotti: ecco Virgola e Romeo, Trilly e Minù, Pallino e Luna. Nomi che i genitori scelsero in omaggio ad altrettanti loro amici, gatti di appartamento, che non ce l’avevano fatta, che erano stati stroncati dall’arma chimica nel vivo della loro evoluzione.
Ed ecco i nuovi nati che, dopo appena pochi giorni, già si levano in piedi, ritti e sicuri sulle zampe. Ancora due settimane, e le loro ugole cominciano a produrre suoni; non ancora di senso compiuto, ma già, indiscutibilmente, suoni nitidi e sicuri, che presto sarebbero diventati parole.
Per le scimmie era l’inizio della fine.


Commenti

Post popolari in questo blog

Quella volta che Antonello, Nello, Gianni… E poi quella volta Antonello, Nello, Gianni, Massimo, Larry vennero a trovarci, fra le nostre cataste di Oscar Mondadori e i nostri fogli dattiloscritti, fra le nostre carte appallottolate e i nostri aquiloni, lì, nella sede del Laboratorio di Poesia di Cosenza. Qualcuno di  noi era preoccupato, “Quelli sono dei pericolosi anarchici – diceva Pasquale – ci spaccheranno tutto”. Ma Raffaele, il più timido di noi ma anche il più mentalmente spericolato, aveva insistito: Dai, diceva, questi qui ci porteranno una ventata di aria nuova, ne abbiamo bisogno, non possiamo stare solo a trastullarci di parole pesanti, di Montale e di Sanguineti. E così io mi arrischiai: va bene, proviamo, facciamoli venire. La loro entrata fu decisamente spettacolare. Gianni era una sorta di maschera senza travestimenti della commedia dell’arte, parlava e insieme cantava, tratteggiava e intanto danzava. Nello sembrava il leader, un po’ stratega un po’ guappo....

Chi preferisci fra Macron e Micron?

Grazie agli sviluppi dell’informatica, oggi le grandi trasmissioni televisive sono nelle mie mani. Sono io a “nominarli”, i concorrenti; a decidere chi canta meglio, chi balla meglio, chi deve andare in finale. Posso così appassionarmi a votare la formazione migliore, e persino la finale del festival di Sanremo viene decisa dal mio voto. Peccato però che nessuno si sogni di farmi decidere se voglio che nel mio paese sia riconosciuto il diritto a scegliere se essere costretto a restare in vita appeso alle macchine o possa optare per morire serenamente. Se voglio consentire a chi lo desidera di coltivarsi una piantina di marijuana sul proprio terrazzo, o se preferisco che a gestire la vendita delle droghe leggere sia la mafia. Se voglio o meno che Alitalia venga salvata coi soldi dello Stato. Se sono d’accordo che i debiti di Monte dei Paschi di Siena vengano pagati con le tasse che versiamo. No, su queste cose non mi fanno decidere niente, anche se la tecnologia consentirebbe di ef...

Il papa e la sinistra

Dai migranti che vengono considerati come fastidiose cavallette di cui liberarsi con l’insetticida, ai poveri che molti sindaci trattano come una impresentabile bruttura che danneggia l’immagine del centro storico; dalle donne che sono tornate proprietà privata del maschio da brutalizzare in roghi casalinghi quando si ribellano, ai disoccupati che ci fanno aumentare le tasse con la loro assurda pretesa di ottenere dallo Stato sussidi e cure mediche. In un ventunesimo secolo che in fatto di diritti sociali segna un arretramento rispetto al quale il Novecento riluce come un antico tempo felice, l’unica voce che in Italia si sta ergendo forte a difesa degli ultimi e dei diseredati della Terra è quella del papa. A sentirlo parlare, i vari Renzi e D’Alema, Franceschini e Bersani, Letta e Gentiloni lì per lì hanno gioito: se ci sta il papa a fare la sinistra, si son detti, noi possiamo farci gli affari nostri in santa pace. Il guaio per loro è che questo papa prende maledettamente su...