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CAPOVERSO on line dicembre 2018



SPECIALE


Franco Dionesalvi
Poeti e popoli migranti
Questo “speciale” vuole essere una riflessione a più voci sulle politiche che gli attuali governi, in Italia, in alcuni paesi europei, negli Stati Uniti stanno sviluppando in tema di migrazioni; e segnatamente sullo sfrenato incitamento verso i sentimenti più bruti e irrazionali che albergano un po’ dentro tutti noi. E che tuttavia andrebbero sviscerati e curati, piuttosto che elevati a decalogo di comportamento. Non si tratta certo, storicamente, di una novità assoluta; sempre l’appello alle guerre, e talvolta l’appello al voto, si è poggiato su demenziali cacce all’untore o su artificiose costruzioni di un nemico cui addebitare tutti i nostri fallimenti e su cui scaricare tutte le nostre inadeguatezze. Più anomalo è far questo in tempo di pace e in un paese democratico ed evoluto.
Sì che una forte preoccupazione, e una sensibilità a dover reagire, è avvertita anche dai poeti; che sentono che oggi è necessario contrastare quegli squilli di tromba con la voce, ultimativa e insieme lieve, della poesia.
Gli stili, le forme, le parole sono assai diverse, ed è giusto così. Insolito e significativo invece è il ritrovarsi in una urgenza condivisa, in una motivazione etica che i presenti, e sicuramente molti altri, percepiscono come doverosa e necessaria.
Ma in fondo la condizione dell’irregolare, che intraprende un viaggio periglioso per mari sapendo che ovunque sarà esule, e che la posta in gioco che mette in palio non può che essere la sua vita, è propriamente e insuperabilmente quella del poeta.






Mariella Bettarini

SALVIAMOCI DA SALVINI 
(acrostico)
                                                                          

Salvini – Salvini… E’ l’ Italia che 
(Ahinoi – ahimè)  indietreggia
Lividamente e infine appare il
Vergognoso – crudele – il persino
Incredibile ritorno di razzismo –
Analfabetismo –  cinismo – populismo - di
Mendace e (ahinoi)  di
Obbrobrioso bieco fascismo
Contrario ad uguaglianza – giustizia – libertà -
Indispensabili valori da vivere senza

Dovere ricordarli – senza mai
Ansia se non per la loro perdita.

Salviamoci – soprattutto salviamo loro dal rifiuto d’ogni
Accoglienza – d’ogni umano
Legame – d’ogni possibile solidarietà  con gli ancor
Vivi migranti - con i fratelli di colore - gli
Infelici senza speranza- con i
Nullatenenti - i senzapatria – con l’
Infanzia senza famiglia – stremata – disperata.


(settembre 2018)










Donatella Bisutti



la prua della nave affondava nelle onde
azzurro-purpuree  mediterranee
affondava fra le onde sanguinanti nell’ultimo sole
avanzando fra i ventri gonfi degli annegati
nel cercare a nuoto una riva
gli oscuri ventri gonfi galleggianti rivolti a quel sole
in un’ultima forsennata preghiera
che fiorivano le alghe sulle labbra illividite.



           
























                                       
Maurizio Cucchi

La tragedia di Marcinelle insegna 
che non bisogna emigrare.

Così disse, agghiacciante,
essendo egli ministro 
nel tempo post umano in cui 
si è politici per autocertificazione.

E il socio:

O cambiate ministro 
O cambiate paese.

Tranquillo ministro!
Ci stiamo già pensando.















Anna Maria Curci
Penisolamento 
(farsa dello stivale in due quartine)

A dispensare fole al Bel Paese
tocchi di malepeggio a cacio e caso
si è aperta sagra di urlatori di pancia
charcutier di rigaglie manovrate.

Indicono tornei di nerboruta
mediocriolipolisi nelle piazze:
i più splendidi nel penisolarsi
potranno a testa vuota appisolarsi.

23 giugno 2018


Submersa
Subumana subentra suburra
subissa
subappalta
subordina
Sublitorale subisce subacqueo subisso
sub judice
subliminale
subornazione
1° luglio 2018


Controrepliche

I

Era ambulante nonno,
il padre di mio padre.
Con  le pezze di stoffa
traversava i calanchi.

Serbo la discendenza
come viva memoria
sudato testimone
della lampada accesa.
28 luglio 2018



Controrepliche

II

Dal dicastero di distorte case
con sua trombetta chiama Barbariccia,
espelle verde bile e i suoi cascami.
L’inferno è qui, confermerebbe Dante.

3 agosto 2018









Piero Gallo

Namèl, dicevano,
ha i colori del sud,
quando giù al porto
sistemavano alla meglio
i figli del naufragio.
Arrivato al Paese
aveva perso il respiro,
come i pesci in una polla infetta,
aveva in grembo
l’acqua dei tiranni
e il viso cancellato dalla sete.
San Giuseppe senza la Madonna,
in processione
per strade alabardate,
per Namèl, dicevano,
non si fanno preci.
Eppure era un fratello della terra,
con in tasca la foto del suo amore,
perduto a Lampedusa.
Dalla riva una forma barbuta
benedice solo eroi.


 Giuseppe Langella
ESODI
Non si son dati neppure la pena
di disossarvi o di tagliarvi a tranci,
prima di rovesciarvi nella stiva.
Cara grazia! Piegate, orsù, la schiena
allegri, ché non vi hanno appesi ai ganci
e forse arriverete vivi a riva.

Qualora poi la barca si rovesci,
tranquilli: non andrete in bocca ai pesci,
ma come tanti bronzi di Riace,
morti affogati, troverete pace
in un museo del mare, in un acquario
dietro un cristallo, postumo sacrario.


Questa poesia è tratta da Luci di posizione (a cura di Giuseppe Langella), Mursia, 2017













Giorgio Linguaglossa
Stamane ho scritto questo pensiero per Facebook e ci ho messo l’effigie di Salvini in orbace con tanto di medaglie appuntate sul petto. Penso che riguardi anche la poesia. Chi scrive parole non può non avvertire lo sfrigolio degli zolfanelli, il disgustoso odore di zolfo misto ad un sentore di fogna per il clima torbido e sfilacciato che si respira in Italia da due mesi a questa parte. I topi sono usciti dalla fogna e adesso ballano e cantano… la Musa, lo sappiamo, è una dea molto timida, visto l’andazzo che si respira in questo paese mi ha dichiarato che se ne starà per un bel po’ in disparte, rinuncerà ad apparire in pubblico, lascia il palco ai nuovi visigoti…
 Vi è sottesa, nel nuovo fascismo, l'ideologia triviale della ricerca della felicità della razza, imbastardita dalle rubriche dei giornali femminili e dagli spot pubblicitari del capo della Lega. Si dice che è un obbligo per gli uomini della 3a Repubblica fare pulizia dei diversi (omosessuali, rom, africani, clandestini). Affinché vi sia l'infelicità comune al massimo grado, si grida per questa ideologia della morte. Anche la ricerca della felicità della razza è diventato un topos triviale, una triviale ideologia in auge nelle telenovelle del nostro tempo mediatico.

 Così stando le cose, in questa questità, non si capisce nulla del nostro tempo sovranista e fondamentalista se non esaminiamo attentamente la volgarità di una tale ideologia neomilitarista e fondamentalista, che non viene mai detta in modo franco ma evocata per sottintesi, in modi ambigui, sibillini; viene caldeggiato un nuovo fondamentalismo, e anche un «servizio militare per i giovani» quale via maestra verso la felicità degli uomini forti, viene caldeggiato il nuovo pauperismo per tutti, la «decrescita felice», lo stipendio per tutti. In una parola: il Bengodi, la felicità per tutti, il paradiso degli sciocchi.

 Ci dica il Ministro degli Interni (quello della «mala vita»), invece di starsene al mare a Milano Marittima e in Versilia, quali provvedimenti intende prendere verso la delinquenza della Terra dei fuochi che condanna milioni di persone a morte certa per cancro.

 Se voi togliete il fondamento di mezzo, cosa resta? Se voi togliete la zattera su cui poggia la significazione che cosa resta? – Il fondamento non c’è, è inutile andarlo a cercare nella memoria, nel passato, nel futuro, sulla luna… non c’è, e quindi è meglio andare ad acchiappare farfalle, è più convincente. Ecco l'acchiappafarfalle del nuovo fascismo: Salvini.

11-12 agosto 2018


Giulia Niccolai
Più che in qualsiasi altra regione,
il tono di ciò che continuano
a chiedersi le tortore maremmane
all’alba e al tramonto è
 “E a des so? E a des so?
E a des so?”
Angoscia nostra o loro?
*
Questo frisbee lo scrissi e lo pubblicai
tre anni fa.
L’anno scorso non sono potuta tornare
in Maremma, ma quest’anno le tortore,
hanno aggiunto una toccante risposta
 alla loro inconsapevole domanda:
“...Ti acca rezzo, ti acca rezzo,
ti acca rezzo”.
















Guido Oldani


MALMEDITERRANEO
                            ai Realisti Terminali


ed il moscone chiusolo in cucina,
gira impazzito dentro nella stanza
sbattendo contro i vetri con la testa,
nessuno lo soccorre quanto basta.
è quel che accade a molte mezzenavi
che vanno per il mare mai sbarcando
poichè non gli si schiude una finestra
ma il nostro cuore è sempre più a disagio,
perché la crudeltà non fa palestra.











Gerardo Pedicini
Nell’editoriale del n. 35 della rivista Capoverso Franco Dionesalvi si interroga sul ruolo e la funzione del poeta nella nostra società. E, citando Salvatore Quasimodo, lo invita di uscire dal “drammatico compiacimento” di restarsene chiuso nella propria torre d’avorio, dove volontariamente si è rinchiuso per affrontare, nella sua totalità, le problematiche che rivestono la sua intera personalità, soprattutto quelle che ineriscono alla sua sfera politica. Più semplice a dirsi che a farsi. La divisione tra sfera privata e sfera pubblica si è talmente radicata nella coscienza dei letterati che è difficile rimuoverla. È diventata un terreno sdrucciolevole difficilmente conciliabile con la sfera emozionale. Ciò non significa abbandonare l’impresa, né che non ci siano stati tentativi di abbattere le cortine di divisione. Anzi bisogna partire proprio da quest’ultime per trovare nuovi sbocchi percorribili. Dionesalvi cita le indicazioni programmatiche del Surrealismo e della neo-avanguardia. Non starò qui a precisare il pensiero politico dei Surrealisti, né analizzare la posizione del Gruppo 63. Entrambi, anche se con opposti convincimenti, hanno cercato di dare uno sbocco effettivo al problema, anche se bisogna riconoscere che le indicazioni emerse, al di là delle singole affermazioni, si sono fermate però sul piano dell’enunciazione o, tutt’al più, si sono mosse all’interno di una concezione che, per quanto innovativa, era diretta nei Surrealisti a rinnovare dall’interno le procedure creative e nella neo-avanguardia a occupare gli spazi della comunicazione letteraria attraverso un’opera di smantellamento del linguaggio tradizionale. Né ha prodotto esiti diversi la stagione del Sessantotto. La sua carica di rinnovamento (docet lo slogan la fantasia al potere) si è fermata all’enunciazione, provocando soltanto sussulti. E non poteva essere diversamente. Né esiti diversi ha prodotto l’illusione di riuscire a elaborare un’arte popolare, proprio dei popartisti americani. Invece di porsi come coscienza critica essi si sono fermati a sacralizzare i prodotti di largo consumo della società di massa. Su un piano completamente diverso il programma dell’internazionale situazionista di Debord. Le implicazioni programmatiche e le strette procedure pratiche alla fine però ne hanno determinato l’estinzione. Quali ne siano le cause il divario tra pensiero e azione è diventato abissale, a tutto vantaggio del potere dei media che assorbono gran parte della comunicazione tramite i social e i network. Il che se, da un lato, ne sottolinea l’importanza, dall’altra la riduce allo specchio deformante di una società che naviga in sé stessa per specchiarsi nei propri desideri. Tutti si autodefiniscono artisti e nessuno è artista. Come superare “questa designificazione del reale”? Una possibilità c’è e non è sfuggita all’attenta analisi di Mario Perniola. Nel saggio Simulacri del potere e potere dei simulacri (Ágalma, n. 20-21, 2010), egli individua nella differenza tra simulacro e simbolo il nodo principale. Il simbolo, egli afferma, “attinge il proprio potere dalla religione, dal mito, dalla fede”, il simulacro “dallo scetticismo, dalla chiusura dell’orizzonte metafisico, dalla derealizzazione sociale”. Questa differenza “apre alla cultura delle possibilità d’intervento assolutamente nuove e incredibilmente ampie: la pone dinanzi a un compito che essa non ha mai affrontato e che consiste nel rovesciare i simulacri del potere nel potere dei simulacri…Il punto di partenza di questo processo è proprio il senso di inutilità che l’intellettuale, il letterato o l’artista prova oggi quotidianamente nella società civile, nell’università, nel partito. Questa inutilità non va rimossa…, al contrario essa deve essere estesa e generalizzata” in quanto “la desacralizzazione, la demitizzazione e la secolarizzazione della realtà e della cultura vanno insieme: esse segnano la fine di un atteggiamento devozionale verso la storia e verso la conoscenza di origine metafisico-teologico. Se dunque una cosa vale l’altra, se esiste un’equivalenza generale di destini, l’esito è un nichilismo incapace di scelta e di determinazione?” L’invito della rivista Capoverso giunge “a proposito, ci indica con chiarezza di non fuggire davanti ai problemi della società, al contrario di assumerli come soglia tematica per il proprio investimento creativo. Il popolo dei migranti è uno di questi. Quale rapporto e di che tipo occorre istituire? Se ci si muove sul piano del pietismo, del sentimentalismo, ecc. finiremmo per considerarlo una figura simbolo dove il noi-loro, di per sé, si porrebbe come esclusione, come separazione, come netta divisione di partenza. Questo è un ostacolo da rimuovere: porta con sé lo scarto di cui ci dobbiamo liberare. L’accoglienza non deve essere giustificata dal bisogno di alcune industrie del nord che, sebbene legate alla Lega, dichiarano di avere necessità di assumere forze lavoro specializzate e non da impiegare nelle loro industrie, né dagli agrari meridionali che, attraverso il caporalato, assumono a basso costo migliaia di profughi per lavori stagionali. E allora da dove partire? Dalla comprensione del fenomeno migratorio da un punto di vista storico, come ci suggerisce Donatella Di Cesare nel suo Stranieri residenti. Essa considera questa “umanità alla deriva”, questa “onda anomala”, questo “tsunami” come un’occasione per ridiscutere alcuni fondamenti che sono alla base del diritto degli Stati moderni e comprendere che le posizioni di Grozio, di Hobbes, di Kant non sono divinazioni esclusive, sono il frutto della realtà storica del loro tempo. A tal proposito occorre ricordare la bolla Inter coetera divinae di papa Alessandro VI in cui il pontefice sancì il pieno potere ai re di Castiglia sulle terre scoperte da Cristoforo Colombo. Da allora la libertà di circolazione naturale ha subito una drastica limitazione al fine di preservare e giustificare il diritto del commercio mondiale. Per uscire da questi confini, occorre, come suggerisce la Di Cesare, “una politica che prenda le mosse dallo straniero inteso come fondamento e criterio della comunità”. Giusto suggerimento che ci consentirebbe di superare ogni opposizione, ogni sentimento di odio che domina nel nostro orizzonte culturale. Un odio “coltivato, nutrito, alimentato” che circola incontrastato nelle affermazioni di una frangia dei politici nostrani volto a giustificare e ad erigere steccati tra nativi e migranti. Chi, per primo, si è assunto questo compito di abbattere questa concezione di netta separazione tra noi-loro è stata l’artista greca Kalliopi Lemos.  Nel 2009 eresse di fronte alla Porta di Brandeburgo l’installazione At Crossroads. Nove barche di legno sistemate una su l’altra su una impalcatura per formare una torre alta 13 metri, si ponevano come manifesto documento della anomala situazione contemporanea. Da un lato la porta berlinese rimandava la memoria al passato, dall’altro i barconi, abbandonati sulla costa greca dai rifugiati provenienti dal Medio Oriente, si ponevano come ferita da rimarginare sollevando nel nostro intimo questioni di identità, di migrazione e di demarcazione. Il nudo monumento della Kalliopi Lemos, insomma, è stato il primo segno di una svolta radicale. Altre si sono succedute sempre da parte dell’artista, e non meno importanti sempre sullo stesso problema o su problemi a esso confinante. È possibile che ciò avvenga anche nella produzione poetica? Difficile ma non impossibile. Certo, per gli artisti è più difficile trovare le forme che possano ben corrispondere al problema. Di necessità occorre liberarci da ogni caduta in metafore o in simbolici attraversamenti. Le parole devono essere sfrondate da qualsiasi orpello. Occorre cioè rifarsi al dato oggettivo, non avere la pretesa di condirlo. La nuda realtà è più forte di qualsiasi procedimento metaforico. Ha in sé la forza e la determinazione dell’idea. Ciò che conta è la “tragicità della finitezza” come suggeriva Carlo Raimondo Michelstaedter, evitando di rinchiudersi negli “ornamenti dell’oscurità”, con l’abbandonare “quelle illusioni di sicurezza e di conforto che avviluppano chi vive abbagliato dalle illusioni create dal potere, dalla cultura, dalle dottrine filosofiche, politiche, sociali, religiose”. Un percorso niente affatto semplice, ma è l’unico che ci consente di fare esperienza della vera vita, consapevoli che la poesia è chiamare a sé le cose. Un chiamare che è anche un corrispondere al linguaggio, abitare in esso e dargli voce: la voce intima e segreta dell’anima. Ciò è il risultato di un costante esercizio, di un continuo interrogarsi, di un perenne stato di allerta capace di non cedere alla realtà fenomenologica così com’è, ma di trascenderla. La parola poetica vive costantemente questo stato di intimità, questa incessante ricerca di autenticità. Essere cioè dentro le cose e, nello stesso tempo, situarsi nella quiete della dif-ferenza perché, come dice Nelo Risi, “la poesia in sé non conta nulla, conta ciò che sta dietro la poesia e in segreto l’alimenta”. Un alimentarsi che è anche un riconoscersi nella propria essenzialità fisica e spirituale, un darsi continuamente alle cose per cogliere le istanze interiori e le vibrazioni profonde dell’inconscio.














Anna Petrungaro
1)
mangiano pesce 
qualcuno per scherzo dice:
stiamo mangiando corpi
- schifo e cenno di riso -
qualcun altro risponde:
non sono poi tanto male.
di questi tempi poi,
il mare è pieno di schifezze.
purtroppo ci dobbiamo abituare
- al divoramento -
Si leccano le mani 
poi leccano un sorbetto
che lava e svaga
lingua e palato



2)
dicono che prende la pancia a morsi 
la paura
il ministro, pure lui, 
ha strane coliche
peta di bocca e non di culo
produce fuochi fatui
una pirotecnia ministeriale
cince spinge i puntini neri che
 rompono il filo dell'orizzonte
Loro - i puntini neri - lo spostano
più in là - quel filo - 
spalancano orizzonti dentro
che possono mordere
straripare  affondare
o levarsi come albe













Gino Scartaghiande

NON FATECI ENTRARE

Non fateci entrare nei vostri porti.
Chiudete la spirale di violenza.
Noi volteggeremo, anche ingenerati,
nella méditerranée neocolonialista
dei vostri miti.

Cnosso-conosco, non di perle si nutre
la vostra sete, ma di sangue.

Per i vostri kinéma, per il pigro
vostro romanzare, per l’occupazione
 della patria altrui, per il vostro stato,
 noi sempre, anche ingenerati, daremo
 il sacrificio necessario, l’olocausto sine qua non;
per tutte le vostre mitizzazioni, il vitello d’oro,
l’evoluzionismo, il vostro corno della fraternité.

Lasciateci come libro chiuso nell’Africa
di Petrarca, come le lacrime della sterile
Didone. Non cercate di noi nei sacri libri,
“perché moltiplicare le stelle?”.

Conone, Callimaco, un certo Simone di Cirene,
dalla campagna, forse dalla divina comoedia,
a voi, nei vostri miti cosa può importare?
Il magnificat di Anna, madre di Samuele,
le spente notti teocratiche della regina di Saba,
il pianto nel tempio, di Berenice.

Chiudete i vostri porti, non lasciateci entrare.
Noi non vogliamo. Anche ingenerati,
saremo la mano d’opera dei vostri miti.
Ora che sulle alture avete elevato tutti gli idoli,
tutte le idolatrie da sempre, come ai tempi dei Re.
















Daniela Scuncia

BALLATA SENZA SPERANZA
Ti prego barcaiolo
portami a riva
ché non pensavo all’inferno
tanto mare.
Lasciami in un porto
dove mi possa asciugare
di tutte queste lacrime e dolore.
Allontanami, ti prego
dal colore assordante,
da queste sfumature
senza nome.
Ti ho dato due monete di speranza
per attraversare quest’acqua
e non sorge altra sponda
al mio destino.
Fermati allora,
ferma il timone
che queste onde dure
spezzano il sangue.
Già la spuma mi solleva
e l’acqua dei miei occhi
confonde i sogni
e il male.
Voltati barcaiolo, guarda
non sono ormai che mare.
E volo ora a braccia aperte
tra le correnti e il cielo.
Sul fondo coralli e pesci
corpi vuoti e sassi
immersi nelle lacrime
tra il sale.
O barcaiolo, adesso è questa
la mia casa
questo è il mio mare.
Vigilo la terra all’orizzonte
nessuna nostalgia
mi farà più tornare












Antonio Spagnuolo

PAGINA PER CAPOVERSO –
“Poesia quotidiana, nuovi motivi emigranti”
C’erano una volta gli schiavi, la vergogna nera di una umanità senza scrupoli, e il disonore di popoli all’avanguardia delle civiltà.
Lo sguardo rivolto ad altro consta sempre di molti sguardi: è un’occhiata che produce infatti mille cose mutate, dischiudendo l’arco che permane in me, e raccoglie senza posa visioni nuove che devono muovere da me per me e in me. La poesia diviene immagine riflessa del reale attraverso le parole che si intercettano per l’irraggiungibile e risuonano di metafore per accarezzare il vertice della musica, dalle profondità misteriose alla luce sospesa e indefinita. La poesia è il sostentamento del subconscio che cerca in mille modi di eliminare l’illusione per accarezzare il mito della realtà incoercibile. Oggi che lo splendore superficiale delle cose materiali vorrebbe sostituirsi mano a mano al canto culturale della poesia il segno della completezza cerca di delimitare altezza e profondità nella chiara necessità di tornare ad unire tutto ciò che è separato dalla tecnica alla ulteriorità che attende l’uomo e la sua psiche. Qui tra il vocabolo   scelto oculatamente nella melma del negativo ed il vocabolo scaturito dall’immaginazione demistificante si accende una misura di sintesi fulminante, per idee tradotte in poche icastiche rappresentazioni, di fronte a nuove ed ampie misure del dettato, divenuto pertanto orchestrazione complessiva delle pagine. Il ritorno allora non è promessa di canto ma inesauribile cammino verso ritmi fecondi, nella interiorità delle passioni umane.
Ma il ritorno ormai prevede un arrivo, un approdo che conceda al naufrago di toccare a piedi nudi il selciato di una patria sconosciuta, una moderna illusione di fratellanza che possa scandire urla di sofferenza e preghiere di accoglienza.
Il brivido, dal quale l’anima è attraversata una volta posta di fronte all’invenzione del canto, ha quasi sempre la pienezza dell’altrove; un altrove pressoché sconosciuto che con il verso si concatena al pensiero, nel momento stesso in cui il subconscio si concatena al noto.  Come intendere allora questo reale che non cessa di dischiudersi e di sottrarsi a qualunque presa, non solo concettuale ma anche mimetica, intorno a quel vuoto che non è possesso, ma rapidità, vortice, mobilità, struttura e finzione, che nasconde i significati per individuare l’essenza della monade e della parola stessa?
Rincorrere la poesia, attraverso gli anni e nell’illusione che essa possa trasfigurare personaggi e figure per immergere vertiginosamente il subconscio nella immaginazione variegata e ricca di smagliature, è il percorso che il poeta scolpisce con le sue proprie mani, validamente realizzato per chiudere il cerchio di un diuturno lavoro come riflessione del tutto.
Le  pagine diventano un viaggio orfico ed innanzi tutto un rapporto simbolico con il mondo che circonda , nelle molteplici attrazioni morali e culturali, una continua luminosa sequenza di conquiste del porto sepolto , di colorate dinamiche del segno, sempre in marcia nella formazione dello spazio e del sospeso, che paiono scaturire tutte da una medesima sorgente , il sentimento della nostalgia e del ricordo, ed avere pertanto una complessità e compattezza di significato, dalla memoria feconda agli innumerevoli passaggi della visione , cammino proprio della ricerca e della conoscenza . 
Accettando il ruolo di uomo partecipe del suo tempo, senza metafore vuote, acrobazie sintattiche, ma non rinunciando all’investigazione linguistica il poeta compie, a suo modo, un atto di testimonianza, che non può e non deve andare disperso. Ogni poesia evoca gli spazi dove fuori e dentro, senza confondersi, si rovesciano tuttavia dichiarando la comune appartenenza terrestre - alla terra, al mondo, al momento fuggente, all’aria, alla luce, alle tenebre – di tutto ciò che è e che deve essere interpretato dalla percezione dell’atto aperto e condiviso dal processo poietico.
La politica improvvisamente sancisce un divieto di sbarco per quei clandestini che cercano quotidianamente un asilo nella nostra patria. Le passioni ribollono al cospetto di centinaia di morti, donne e bambini avviati allo sbaraglio senza nessuna pietà, sia dal luogo di partenza, sia all’approdo. Ma l’approdo è negato, in un clima moderno di severità demagogica, che nulla ha a che fare con la carità cristiana invocata inutilmente dal pontefice. Nel vortice del dubbio, aperto dal governo italiano in questo nostro tempo, vien da chiedere a cosa mai possa servire la poesia, un’arte derelitta e sconosciuta, espressa nel vuoto culturale che incombe. Non è facile comprendere la validità di un decreto che vieta lo   sbarco, avvolti come siamo da un frastuono che annebbia e stordisce.










Mauro Toffetti 

ERRANTE CAVALIERE

Ho ingaggiato
un corpo a corpo
con un clandestino,
naturalizzato da 42 generazioni.
Ho combattuto
come in un videogioco della Nintendo,
contro un Procambarus Clarkii,
tra il romantico svincolo della Valtidone
e la tangenziale ovest.
C’erano anche il riso ed il granturco
a tappezzare i campi
come trame
del tappeto del mio soggiorno.
Non lo volevo sopraffare;
lo volevo salvare.
Errante cavaliere rosso,
clandestino.
Ti ho vinto!
















Lello Voce

IL LAVORO CIECO
Il cuore è questo vuoto al centro del sentire
il fiore che nasce già appassito muto zittito
questo vecchio bambino e i suoi occhi grandi
questo passato già tanto passato da essere ormai
l’unico avvenire il futuro di un muro un viaggio
che non s’allontana ma sprofonda quest’onda
che passa e non tramonta la pena che sormonta
i tappi senza bottiglia il tuo corpo a miglia e miglia

il vuoto è questo dolore che riempie l’orizzonte
questi volti immobili questo contrarsi del tempo  
questo precipizio e lo sguardo nell’interstizio
a spiare l’aborto di ogni inizio le doglie con lo
sconto di ciascuna delle nostre voglie la fame
che attende paziente che pianta le tende mentre
la carica squilla gli scudi e noi nudi noi picchiati
noi svenduti suicidati torturati e poi condannati

lavorare meno lavorare tutti respirare
carezzare urlare prendere lasciare
scegliere pensare sospettare vedere dire
distruggere costruire imparare insegnare
godere soffrire sognare vivere tutti
                                                        morire meno

solo pochi minuti fa in anticipo sul ritardo
dell’adesso ed è successo l’avete visto tutti
questo sangue e le donne in vetrina i passanti
l’abbiamo visto tutti il ghigno aspro della neve
abbiamo sentito lo stridere chioccio dei denti
negare quella risposta che da sempre ci si
mente i tonfi poi gli stivali e lo scalpiccìo ogni
mio ogni tuo ogni suo ogni vostro ogni nostro

calpestati mentre il loro gas e la nostra massa
mentre accadeva il mentre e s’apriva il buco
s’apriva la pelle il muscolo l’osso lo zigomo
e il sangue si liberava del corpo lo sguardo
del morto questo nostro respiro così corto
noi zoppi noi storpi noi che per distrazione
abbiamo perso futuro amore rivoluzione
noi ciechi noi muti sordi i nostri colli torti

lavorare meno lavorare tutti pensare
bloccare incendiare colpire avanzare
retrocedere ritornare colpire prendere
restituire calcolare punire perdonare
compatire disprezzare agire vivere tutti
                                                                 morire meno

hanno accecato il lavoro tagliato la lingua
ad ogni ribellione frantumato i timpani
della memoria strappato il cuore a ogni
sentimento bruciato i polpastrelli d’ogni
sensazione hanno disegnato la strada
e poi hanno sbarrato i cancelli hanno
riempito la nostra testa con il vuoto
dove volano i loro pipistrelli hanno

bevuto il nostro sangue il conto langue
siamo in credito di vita siamo in attesa
che sia finita questa pena infinita che nasca
la radice che traligna che esige che ora sia
esatta l’ora che fa tornare i conti siamo giunti
sin qua solo per mostrarvi i numeri la lista
e tutta l’evidente moderazione che c’è nel
comprendere come ormai l’unica soluzione

non sia un pranzo di gala ma piuttosto
                                                         tutt’un’altra rivoluzione










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Quella volta che Antonello, Nello, Gianni… E poi quella volta Antonello, Nello, Gianni, Massimo, Larry vennero a trovarci, fra le nostre cataste di Oscar Mondadori e i nostri fogli dattiloscritti, fra le nostre carte appallottolate e i nostri aquiloni, lì, nella sede del Laboratorio di Poesia di Cosenza. Qualcuno di  noi era preoccupato, “Quelli sono dei pericolosi anarchici – diceva Pasquale – ci spaccheranno tutto”. Ma Raffaele, il più timido di noi ma anche il più mentalmente spericolato, aveva insistito: Dai, diceva, questi qui ci porteranno una ventata di aria nuova, ne abbiamo bisogno, non possiamo stare solo a trastullarci di parole pesanti, di Montale e di Sanguineti. E così io mi arrischiai: va bene, proviamo, facciamoli venire. La loro entrata fu decisamente spettacolare. Gianni era una sorta di maschera senza travestimenti della commedia dell’arte, parlava e insieme cantava, tratteggiava e intanto danzava. Nello sembrava il leader, un po’ stratega un po’ guappo....

Chi preferisci fra Macron e Micron?

Grazie agli sviluppi dell’informatica, oggi le grandi trasmissioni televisive sono nelle mie mani. Sono io a “nominarli”, i concorrenti; a decidere chi canta meglio, chi balla meglio, chi deve andare in finale. Posso così appassionarmi a votare la formazione migliore, e persino la finale del festival di Sanremo viene decisa dal mio voto. Peccato però che nessuno si sogni di farmi decidere se voglio che nel mio paese sia riconosciuto il diritto a scegliere se essere costretto a restare in vita appeso alle macchine o possa optare per morire serenamente. Se voglio consentire a chi lo desidera di coltivarsi una piantina di marijuana sul proprio terrazzo, o se preferisco che a gestire la vendita delle droghe leggere sia la mafia. Se voglio o meno che Alitalia venga salvata coi soldi dello Stato. Se sono d’accordo che i debiti di Monte dei Paschi di Siena vengano pagati con le tasse che versiamo. No, su queste cose non mi fanno decidere niente, anche se la tecnologia consentirebbe di ef...

Il papa e la sinistra

Dai migranti che vengono considerati come fastidiose cavallette di cui liberarsi con l’insetticida, ai poveri che molti sindaci trattano come una impresentabile bruttura che danneggia l’immagine del centro storico; dalle donne che sono tornate proprietà privata del maschio da brutalizzare in roghi casalinghi quando si ribellano, ai disoccupati che ci fanno aumentare le tasse con la loro assurda pretesa di ottenere dallo Stato sussidi e cure mediche. In un ventunesimo secolo che in fatto di diritti sociali segna un arretramento rispetto al quale il Novecento riluce come un antico tempo felice, l’unica voce che in Italia si sta ergendo forte a difesa degli ultimi e dei diseredati della Terra è quella del papa. A sentirlo parlare, i vari Renzi e D’Alema, Franceschini e Bersani, Letta e Gentiloni lì per lì hanno gioito: se ci sta il papa a fare la sinistra, si son detti, noi possiamo farci gli affari nostri in santa pace. Il guaio per loro è che questo papa prende maledettamente su...